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22 Dic 2014

10 segreti del 2015 per un brand di successo

Oggi, la qualità del prodotto e l’offerta di un buon servizio, non bastano più per garantire la riuscita di un business. È il marchio che fa la differenza: distingue dai concorrenti e aggiunge valore all’offerta.

Fare bene un prodotto, od offrire un buon servizio, non è più sufficiente per competere sul mercato o per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo di un’azienda, dal momento che esso risulta facilmente clonabile e la sua qualità viene spesso data per scontata dal cliente/consumatore. Il modo di vendere, nel terzo millennio, è cambiato: più si cerca di convincere qualcuno a comprare, più si rischia di ottenere l’effetto contrario. Paradossalmente, più si esaltano i vantaggi e le virtù di un prodotto, più si generano dubbi sulla proposta commerciale, provocando diffidenza. E allora? Che fare? Oggi non bisogna più cercare di convincere, ma è necessario evocare una percezione. E solo il marchio è in grado di assolvere a un compito così particolare e far sì che possa aiutare gli imprenditori a districarsi tra concorrenti agguerriti, crisi e continue guerre al prezzo.

Questo è il decalogo dei segreti per un brand di successo.

1. Brand is not a logo. Per poter creare un brand bisogna prima sapere esattamente cosa sia, a partire dalla terminologia di base: le parole “marca” e “marchio”. La marca corrisponde all’essenza concettuale che s’insinua nella mente delle persone (se pensiamo a Virgin, per esempio, ci immaginiamo valori di allegria e divertimento, a prescindere si tratti un viaggio aereo o una palestra). Il marchio, invece, è il dispositivo visivo – visuale e testuale – che rende “fisica” una marca (fanno parte del marchio elementi quali il nome, il logotipo, il simbolo, i colori ecc).

2. Il brand ti aiuta a fare business. Innovare è importante ma non sempre s’inventano prodotti o servizi realmente nuovi da “vendersi da soli” e, anche in questi rari casi, il brand è fondamentale per capitalizzare nel tempo il fatto di essere stati i primi sul mercato. Mai fare l’errore di pensare di essere i migliori o credere che non arriverà mai un giorno in cui qualcuno farà qualcosa di simile. Copiare un brand se ben congeniato, invece, è molto più difficile, perché – meglio di quanto possa fare il prodotto – è capace di trasmettere dei valori emotivi e di facilitare la comunicazione, differenziandosi dai concorrenti. Il compito operativo del brand infatti non è solo quello di identificare una proprietà e di rendere riconoscibile un prodotto o un’azienda, ma quello di coinvolgere le persone.

3. Il primo prodotto da vendere è il proprio brand. Per avviare una strategia di business mirata ad affermare un brand, è necessario evolvere la mentalità commerciale dell’azienda. Vendere un brand significa decidere innanzitutto qual è la “personalità di marca” che si intende presidiare, cioè l’immaginario che durerà per sempre. Questa legge è valida sia per un prodotto di largo consumo, come per esempio un servizio di telefonia mobile (sotto il marchio Alice c’era scritto «Internet delle meraviglie», associando così un’idea diversa al prodotto, rispetto al classico e banale “collegamento veloce”); sia per un’azienda business-to-business, come per esempio un’officina di lavorazioni meccaniche (la società italiana Alkiria si propone come la «Dea della Precisione», trasformando la percezione di loro stessi da semplici tornitori a qualcosa di più evocativo).

4. Un brand vale più di mille prodotti. Quando si avvia un’attività o si gestisce un business, è utile considerare che oggi l’asset più importante di un’impresa è il brand, il quale – nella maggior parte dei casi – ha superato il valore economico-finanziario del prodotto stesso. Come mai? Perché se un’azienda, nel rispetto dei requisiti minimi di qualità e funzionalità del prodotto, punta a sviluppare e ad accrescere l’immaginario del brand, potrà, nel tempo, evolvere o integrare la propria offerta senza dover investire altro denaro per rassicurare il mercato. Ciò che si ottiene è l’immortalità del brand, anche se il prodotto venduto oggi cambierà.

5. Il brand deve farsi portatore di un credo. Non è sufficiente, per un marchio d’azienda o di prodotto, essere famoso per fregiarsi del titolo di “brand”, così come non è un prerequisito costruire notorietà per diventare brand. Un brand, per definizione, prende posizione su uno specifico modo di essere e di pensare, cercando paradossalmente di non essere legato troppo esplicitamente al prodotto. Questo significa che un brand deve avere una vita autonoma, come se fosse una persona. Come una persona infatti, il brand può evolvere nel tempo, rimanendo – nella sua identità più profonda – sempre lo stesso.

6. Il brand deve emozionare il suo pubblico. Presidiando un Credo e dichiarando un modo di essere, si comunica un aspetto emozionale e inerente alla natura umana, perché applicabile globalmente e indipendente dalle variabili sociali e culturali. In questo modo si crea una sintonia di pensiero affinché il cliente/consumatore non si senta costantemente vittima di una proposta commerciale. Il brand, così, sviluppa un proprio ruolo nella società entrando nella vita reale delle persone che, poi, assoceranno positivamente un brand a ciò che propone. Questo non solo per fiducia e qualità – prerequisiti vincolati al prodotto e al servizio – ma per affinità interiore.

7. Il brand deve avere il nome giusto. Un punto critico, spesso discriminante per il successo di un business, è il nome della marca. Un nome sbagliato rende nullo il coinvolgimento emotivo con il proprio pubblico e pretende maggiori investimenti pubblicitari per compensarne i limiti. Come deve essere un nome? Sicuramente – per poter essere memorizzato – meglio se è breve, composto da una sola parola, facile da pronunciare e rispettoso verso il proprio mercato. Ma, soprattutto, diciamo come NON deve essere: descrittivo. Una trappola in cui cadono molti imprenditori è infatti pensare che il nome debba spiegare cosa venda l’azienda o cosa faccia il prodotto. Niente di più sbagliato. Un nome, coerentemente con il Credo e la brand-strategy definititi, deve imporre una personalità ed entrare nell’immaginario delle persone.

8. Il brand deve avere un logo efficace. Il logo moderno, come per il naming, non deve descrivere né spiegare il prodotto e non può più essere un banale segno grafico o un pittogramma. Deve avere un carisma come, per esempio, quello dell’ormai mitica mela morsicata di Apple oppure del cane/drago a sei zampe di Eni. Simboli, questi, che hanno insiti nella loro iconografia un magnetismo e una capacità evocativa unici.Per la progettazione di un marchio funzionale – oltre a rispettare le regole base della sintesi, della semplicità e della riproducibilità – è importante scegliere con criterio gli elementi che lo compongono. Per esempio i colori che, da una parte evocano sensazioni a livello universale stimolando il sistema nervoso di tutti gli esseri umani, dall’altra vanno selezionati a livello internazionale in base alla cultura e le convenzioni.

9. Il brand va gestito con coerenza. Come si reagirebbe se un amico, di punto in bianco, cambiasse totalmente il suo carattere e il modo di pensare? Probabilmente, dopo aver appurato che l’identità della persona sia la stessa, si penserebbe a un’improvvisa malattia mentale. Ecco, per una persona, il brand deve avere un comportamento coerente per evitare che il proprio pubblico si faccia delle idee sbagliate (questa anomalia prende il nome di “schizofrenia di marca”), rischiando di perdere le percezioni create in tanti anni di lavoro. Il suggerimento è di scrivere un vademecum con tutte le regole di utilizzo del marchio, una specie di “manuale di istruzioni”, affinché si possa monitorare costantemente che le performance del brand siano corrette.

10. Il brand va protetto legalmente. Oggi non è possibile depositare una Marca – cioè la personalità che si vuole presidiare a livello psicologico – ma solo il Marchio. Legalmente s’intende per marchio ogni “segno” atto a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (art. 7 cpi). Per segni s’intendono: Parole; Disegni; Lettere; Cifre; Suoni; Forma del prodotto o della confezione di esso; Segni grafici con combinazioni o tonalità cromatiche.Per procedere al deposito di un marchio è consigliabile rivolgersi a società specializzate in materia di protezione giuridica di opere d’ingegno, come brevetti e, appunto, marchi. Un’accortezza: prima di depositare un marchio, è buona norma far effettuare una “ricerca di anteriorità” (per classe merceologia e per Paese), per verificare se qualcuno ha già registrato qualcosa di simile ed evitare future contestazioni legali.

 

Vanity Fair ha chiesto a Univisual i dieci segreti per un brand di successo.
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