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21 Lug 2014

Brand b2b dal magazine del Sole 24Ore

La marca, un fattore critico anche nel B2B: interviene sull’argomento il Ceo di Univisual – Gaetano Grizzanti – su “L’Impresa”, la rivista di business management de “Il Sole 24 Ore” nel numero speciale di luglio-agosto.

 

Branding b2b

di Gaetano Grizzanti

 

Il contributo discriminante del brand aziendale per il raggiungimento dei risultati attesi è ancora oggi impalpabile, sia nella gestione del proprio business sia nell’impatto commerciale.

Il brand è ormai l’asset principale delle aziende operanti nel largo consumo ma, a causa dei notevoli cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, sta divenendo un’opportunità strategica anche per chi opera in ambito business-to-business. Nell’attuale scenario competitivo, infatti, la sfida delle aziende che “resistono” nel mercato b2b consiste nell’integrare all’interno della propria strategia di business l’entità “marca”, quale asset fondamentale per la proposizione commerciale dell’impresa e della sua proposta.

In un mercato dove la qualità del prodotto o servizio non è più sufficiente per convincere un potenziale cliente, è necessario trasformare la tradizionale cultura d’impresa – basata appunto solo sull’offerta – in un approccio orientato alla costruzione di un brand, oggi l’unico strumento in grado di attribuire un reale valore aggiunto al prodotto/servizio stesso, influenzando le scelte del cliente e spesso consentendo di supportare anche un prezzo più alto rispetto alla concorrenza.

Dalla teoria alla pratica, il passo è articolato ma non difficile. Partiamo dal comprendere e convincersi che, oggi, la tipica attività di vendita rischia di essere controproducente. Certo, un buon venditore è in grado di relazionarsi con sincerità e adeguata circoscrizione ma, se non dovesse dire nulla sul prodotto di che cosa parlerebbe?

I vantaggi competitivi sono rari e, anche se esistessero, ciò che condiziona è la percezione esistente che cambia la realtà delle cose, creando convinzioni spesso errate o superficiali.

La verità è che nessuno oggi ascolta attentamente le ragioni di un venditore e difficilmente cambia idea, arrivando a mettere in discussione aspetti razionali e concreti. Tutto ciò agisce in una dimensione inconscia, dove l’immagine percepita in merito alle capacità di un’azienda, condiziona le scelte sui fornitori.

Questo avviene perchè il lato irrazionale della mente umana ha un’incidenza determinante rispetto a ogni nostra decisione e, una volta presa, d’istinto giustifica il lato razionale di sé con ragionamenti logici, individuando motivazioni concrete e rassicurando la propria coscienza. Siamo, insomma, disposti a tutto pur di convincere noi stessi e gli altri sulla pertinenza della scelta fatta.

Da ricerche sulla Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI – Functional Magnetic Resonance Imaging), emerge che ben il 90% delle decisioni sono irrazionali e non del tutto consapevoli. Pertanto, confermiamo a noi stessi la bontà di un acquisto a tal punto che riteniamo migliore qualcosa, rispetto a un’altra, anche se realmente non lo è.

Preconcetti sul brand

Di fatto non ci sono sostanziali differenze tra un brand b2c e un brand b2b. Aspetti come la notorietà o gli investimenti in comunicazione, per esempio, vanno considerati in ottica proporzionale: se Coca-Cola o Nike devono fare pubblicità, utilizzano i principali mezzi di massa a livello globale, spendendo importi notevoli per raggiungere un target molto vasto; se invece parliamo di una realtà – per esempio – che produce ventoline per quadri elettrici, per farsi conoscere non dovrà raggiungere milioni di persone indifferenziate bensì un pubblico molto ristretto e circoscritto agli utenti professionali specializzati. Dal punto di vista numerico, ciò che si avrà in entrambi casi è una diretta proporzione tra fatturato e obiettivi.

Ciò che conta infatti – e per niente considerato – è che sia in ambito b2c sia in quello b2b, si ha a che fare sempre con delle persone. È solo il mezzo e l’approccio commerciale che deve essere declinato al contesto ma, in fondo, è sempre con un individuo che dobbiamo interagire e che dovrà prendere delle decisioni sull’acquisto, sia esso una casalinga o il responsabile di un ufficio tecnico. La componente umana è l’unica costante ed è su quella che bisogna ragionare per definire le “associazioni valoriali” di cui, in questo caso, la marca b2b dovrà farsi portatrice.

 


IL PERCORSO DI UN’AZIENDA BRAND-ORIENTED

Se un’azienda concepirà il proprio marchio con le proprietà tecniche da marca (naturalmente rispettando i prerequisiti minimi dl prodotto necessari per competere), il suo processo di sviluppo sarà caratterizzato da un inizio dove il prodotto godrà del supporto evocativo del brand per l’accettazione del mercato e da un percorso più veloce di affermazione e di crescita, verso la costruzione di valore finanziario.

 


Il compito del brand

Per “maneggiare” (da cui il termine manager) e comprendere meglio la materia, è necessario prima di tutto rivedere il significato di marchio e marca. Il marchio è il codice visivo – nome e logo – della marca, entità concettuale che deve essere in grado di evocare un insieme di sensazioni predefinite. Di fatto potremmo dire che tutti hanno un marchio, ma pochi possono fregiarsi del titolo di marca. E, ribadiamo, essere una marca non significa essere grandi e famosi. Essere una marca significa possedere una personalità autonoma rispetto a ciò che l’azienda fa, affinchè si generi un’associazione emozionale che sposti l’attenzione oltre la fisicità del prodotto/servizio da vendere.

Il processo di evoluzione da attuare, per un’azienda b2b, è quindi trasformare il marchio – inteso solo come mero segno di riconoscibilità – in una marca, cioè in un’entità valoriale che condiziona le ragioni di preferenza da parte del proprio prospect.

Così facendo si ottiene quell’ambita differenziazione necessaria per non essere considerati come tutti gli altri attori del mercato, utilizzando il brand come un “avatar” dell’entità “azienda” e del’entità “prodotto/servizio”.

Secondo questo approccio, il brand diventa la leva competitiva capace di costruire valore a una qualsiasi proposta commerciale, rendola impossibile da duplicare e unico per il proprio pubblico. Un prodotto presentato da un brand distintivo, acquisisce più facilmente credibilità e un posto predominante nella mente del cliente.

Il brand è un bene e una risorsa che deve essere considerata al pari tra le diverse che esitono in una Organizzazione – come per esempio le persone – e, come tale, dovrà avere una funzione operativa propria. L’errore di fondo è infatti legare più del dovuto il prodotto e l’azienda al brand, sovrapponendone ruolo e identità. Comprendere la vera natura del brand è quindi un fattore critico per avere un “dispositivo” utile, affinchè la marca non sia solo un suppellettile che svolge le funzioni primitive del marchio.

Insomma, il brand può essere un mezzo per evocare in modo credibile la propria eccellenza creando una sintonia di pensiero senza per questo far sentire il prospect come una vittima dell’ennesima proposta commerciale.

I 10 capisaldi per realizzare una strategia di marca

Per effettuare un processo di evoluzione aziendale è necessario agire con convinzione e seguire i seguenti dieci item:

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1

Selezionare e razionalizzare, con senso critico, le qualità dell’azienda e dell’offerta.

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2

Estrapolare quelle che nessun concorrente dichiara espressamente al mercato.

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3

Tradurre semanticamente queste qualità, in valori concettuali.

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4

Trasporre questi valori in un “credo moderno” che però non faccia riferimento al prodotto e all’azienda; per esempio qualcosa che riguarda il modo di essere e di pensare. Attenzione: più il “credo” individuato è contestualmente distante dal settore merceologico di riferimento, più si farà ricordare dal cliente.

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5

Comporre una Vision in modo originale e autentico; per esempio immaginando un futuro ideale.

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6

Utilizzare la Vision e il Credo in tutte le comunicazioni di marca.

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7

Parlare specificatamente del prodotto e dell’azienda solo nei momenti opportuni e attraverso gli strumenti preposti per informare o descrivere.

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8

Dotarsi di un nome aziendale originale e non “descrittivo” – del prodotto o del settore in cui si opera – per distinguersi. Ove non sia possibile cambiare il nome all’azienda, compensare i suoi limiti con un payoff (breve esposizione verbale da scrivere sotto) che sia evocativo ed emozionale.

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9

Dotarsi di un logo originale in grado di imporre una forte personalità (come per esempio il cane-drago di Eni) per non confondersi con la concorrenza.

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10

Comunicare, internamente ed esternamente all’azienda, in modo coerente e costante.

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Il caso della piccola officina meccanica di precisione
Ecco una testimonianza di come anche una realtà che opera in ambito business-to-business possa sfruttare l’arma del brand per rendere più facilmente credibile la propria eccellenza. Nella provincia milanese, dove operano migliaia di piccole imprese terziarie e manufatturiere, vi è anche un’azienda – composta da meno di una ventina di addetti – che fornisce un servizio di lavorazioni meccaniche per l’industria. Progetta e produce con molteplici materiali, secondo le specifiche del cliente, supportandolo dalla prototipazione al collaudo. È una delle tante costrette a competere nell’attuale situazione del mercato e che, al tempo stesso, cerca di non assecondare le continue richieste di riduzione del prezzo da parte del cliente. La qualità è alta e il servizio è davvero personalizzato, così l’imprenditore – convinto dei propri mezzi – decide di evolvere il modo con cui la sua azienda (prima denominata Fgr) si pone sul mercato. Il progetto, effettuato l’anno scorso, si risolve in un radicale cambiamento dell’approccio strategico al mercato, intervenendo nel sistema generale dell’identità di impresa, incluse una revisione delle logiche di proposizione dell’offerta, la ridenominazione societaria (oggi si chiama Alkiria) e una brand identity emozionale completamente rivoluzionaria per il settore di riferimento. Alkiria è un nome di fantasia, creato appositamente dopo aver definito la personalità della marca: vuole rappresentare la “dea della precisione”, in qualità di avatar dell’azienda. «A oggi. siamo ancora impegnati nel processo di evoluzione ma, il cambiamento effettuato, già solo dopo un anno – racconta Roberto Muretti, ceo e direttore commerciale –, ha generato un miglioramento del percepito da parte dei clienti. L’idea trasmessa è che ci sia un’azienda più strutturata e in crescita. Infatti uno dei nostri obiettivi è conquistare come clienti aziende più grandi. Grazie a questo particolare nuovo brand, ci siamo differenziati nettamente dai competitor, facendo meno fatica nel rendere credibile la nostra promessa commerciale e riducendo i tempi con cui ottenere un riscontro alla richiesta di un
appuntamento. Questo è uno dei risultati ottenuti, poi, una volta che siamo vis-a-vis con il potenziale cliente, la nostra competenza e il nostro parco macchine confermano le aspettative generate. Un altro risultato ottenuto è stato quello di far accettare i nostri prezzi, che mediamente sono del 5% più alti rispetto alla media del mercato». E aggiunge Muretti: «Questa operazione ha impattato anche al nostro interno, sviluppando più consapevolezza e fidelizzazione alla “maglia”. Ora si pensa più in grande, con maggior fiducia e sicurezza».

Il marchio prima e dopo l’avvenuto passaggio da una strategia basata sul prodotto verso un approccio orientato ad affermare una marca.

 

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