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4 Feb 2016

Brand Changing

L’intervista a Gaetano Grizzanti per la prefazione dello speciale “Brand Communication” della rivista NC.

 

L’evoluzione della marca nell’era della percezione

di Mario Garaffa

Le aziende, più che proporre prodotti, oggi devono riuscire a vendere marche. La differenza di valore, come spiega il Ceo di Univisual Gaetano Grizzanti, la si genera operando sulla dimensione percettiva, per evocare personalità, coerenza e credibilità, e quindi trasformare l’offerta in qualcosa di unico.

Cosa ci spinge a scegliere un prodotto anziché un altro? Cosa ci porta a spendere di più per acquistare un servizio, piuttosto che optare per uno simile, ma più conveniente in termini di prezzo?

Per rispondere a queste domande dobbiamo focalizzarci sui cambiamenti che stanno caratterizzando il mondo del business. E per farlo abbiamo intervistato Gaetano Grizzanti – brand advisor e Perito del Tribunale di Milano – punto di riferimento italiano con 30 anni di esperienza nel settore. «Il brand è il primo vero prodotto che ogni azienda dovrebbe vendere» esordisce Grizzanti. Tranne rare eccezioni, le reali differenze tra prodotti e servizi concorrenti presenti sul mercato sono abbastanza circoscritte.

Il progresso tecnologico e la facilità di diffusione del ‘know-how’ hanno portato a una elevata riproducibilità tecnica di, praticamente, ogni prodotto o servizio in circolazione. La guerra al prezzo e la concorrenza internazionale quanto mai sfrenata, fan si che tutti o quasi, dalle multinazionali alle piccole imprese, occupano uno specifico settore proponendo un prodotto o servizio diversi ma molto simili a quelli dei diretti competitor.

In questa situazione di sostanziale omologazione, spiega il Ceo di Univisual, «la differenza di valore va costruita non tanto sugli aspetti tangibili e concreti relativi all’offerta, quanto piuttosto intervenendo su dimensioni valoriali ed emozionali». In una sola parola, occorre puntare sulla ‘marca’, intesa – come scrive Grizzanti nel suo libro “Brand Identikit” – come quell’entità concettuale che, presidiando il territorio mentale di un individuo, evoca un insieme di valori predefiniti, definendo il posizionamento dell’azienda sul mercato.

Ecco perché, aggiunge l’esperto, «si può dire che siamo entrati, a tutti gli effetti, nell’era della percezione»: un’era in cui a far la differenza, in termini di costruzione del valore che viene assegnato a una proposta di marketing, sono variabili percettive, non tangibili in senso letterale, capaci di identificare un modo di essere e di associare ideali ed emozioni a uno specifico brand, a prescindere dal prodotto o servizio che viene commercializzato. In questo discorso, l’inconscio svolge un ruolo fondamentale: «grazie a indagini scientifiche – precisa il professore – è stato confermato che il 90% dei nostri processi decisionali di acquisto risultano essere guidati non da processi cognitivi razionali bensì da un insieme di reazioni istintive e inconsce».

Il proprio posto nel mondo

Ricapitolando, se l’oggetto – prodotto o servizio che sia – ha in sé un valore limitato e circoscritto, allora ad avere importanza è ciò che lo contiene, ossia la marca. Il “brand changing”, ossia il «processo di trasformazione di un marchio in una marca» spiega Grizzanti «è un percorso complesso e articolato mirato a evolvere il brand in una rappresentazione di un modo di essere e di pensare».

Per procedere lungo questo asse evolutivo, è essenziale sviluppare una brand identity quanto più possibile forte, credibile, coerente e distintiva. «Le marche infatti – aggiunge Grizzanti – sono dotate di caratteristiche che siamo soliti associare agli individui, come la personalità o i valori di riferimento. Ecco perché ogni azienda deve innanzitutto chiarire – prima a se stessa e poi a tutti gli altri, dai consumatori agli stakeholder – il perché della sua esistenza, ossia qual è il suo posto nel mondo e qual è il ruolo sociale che intende assegnare alla propria marca».

E questo ruolo non può certo essere limitato al semplice ‘fare profitto’ quale finalità indiscutibile, bensì deve avere una sua utilità, continua Grizzanti: «il brand, in passato molto demonizzato, può assumere un ruolo di garanzia per la comunità, per il semplice motivo che – rispetto a ieri – l’operato delle aziende di marca è sempre sotto i riflettori, obbligandole ad agire correttamente sia dal punto di vista legale sia dal punto di vista etico. Il passaggio fondamentale, in questo senso, consiste nel definire ciò che la marca pensa sul mondo in cui vive, esprimendo un “credo”, per poi confermare questo Credo con coerenza in tutte le occasioni di comunicazione, nei diversi touch-point tramite cui entra in connessione con le persone».

Questo concetto, chiarisce Grizzanti, si concretizza con una strategia di business quando il brand si pone sul mercato con una “personality” autonoma, capace appunto di prendere posizione su temi non necessariamente legati al prodotto: «un caso esemplificativo del passato è Benetton che, probabilmente con il sol scopo di impressionare il pubblico (un tempo si diceva di ‘colpire’ il consumatore, ndr), comunicava facendo leva su temi etici globali, effettuando vere denunce sociali su argomenti delicati come il razzismo, l’aids o la guerra. Non puntava quindi sulle caratteristiche intrinseche del prodotto. Per quei tempi fu qualcosa di pioneristico: ciò che l’azienda proponeva erano articoli di abbigliamento, ciò che in realtà vendeva era un brand. Penso si possa affermare che Benetton sia stato il primo vero caso italiano di strategia di business basata sul brand».

Un esempio più recente, in quest’ottica – prosegue Grizzanti – è Virgin, attiva in una molteplicità di aree merceologiche: «il brand è infatti stato in grado di estendere il proprio mercato forse come nessun altro al mondo, vendendo un’idea associabile a centinaia di business differenti in modo credibile, proprio grazie alla sua capacità di evocare un “modo di essere”, autonomo dai prodotti o servizi che commercializza».

Sintetizzando, possiamo dire che una marca è dotata di personalità quando dichiara e palesa, senza timore, il proprio modo di vedere o di pensare su un particolare aspetto della vita.

 

Questo articolo è ripreso da “Brand Communication”
allegato alla rivista “NC” nr. 57 / dicembre-gennaio  2016

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