19 Nov 2015
di Andrea Crocioni
Vivere nel proprio tempo, ma senza snaturarsi. La sfida delle marche è mantenere un elevato livello di coerenza continuando a sviluppare la relazione con un pubblico di consumatori iperconnessi, desiderosi di dire la loro, ma soprattutto sempre pronti a tradire.
(di seguito un estratto dell’articolo che riporta gli interventi di Gaetano Grizzanti, CEO Univisual)
«Viviamo in un’era in cui si assiste a molti cambiamenti del modo con cui un’azienda si muove sul mercato. Per esempio, in passato, quando le imprese comunicavano – in quanto emittenti – dovevano preoccuparsi solo di dare il messaggio desiderato. Avevano il controllo totale di questa brevissima filiera. Oggi quel messaggio non possono più gestirlo totalmente, rimbalza e spesso ritorna distorto, tutto è diventato più complesso e faticoso.
In tutto questo il brand, in senso stretto, per consentire un processo di comunicazione corretto ed efficace, non deve inseguire le mode del momento, anzi, deve mantenere una chiara e distintiva personalità».
Per l’esperto i problemi di debole personalità di un brand finiscono spesso con il riflettersi in campagne pubblicitarie incapaci di produrre un ritorno accettabile dell’investimento.
«Senza contare che nell’era dei “Millennial”, non sono più i prodotti che creano i brand, ma i brand che creano i prodotti», aggiunge Grizzanti. Proprio la Generazione Y ha cambiato il modo di fare marketing delle aziende.
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«Nell’evolvere un brand esistente o a sviluppare uno nuovo, è necessario, salvo casi molto rari, pensare sempre in un’unica visuale globale, mettendo a punto una matrice idonea per qualsiasi mercato – asserisce Grizzanti – La cosa interessante nell’agire attraverso una strategia di branding è che anche un business piccolo o specializzato in un mercato b2b, può trasformarsi in un grande marchio, sfruttando il potere del brand per attribuire una specifica percezione valoriale».
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Tutto sembra giocarsi su un equilibrio molto sottile, conferma Grizzanti: «il brand è come una persona: ha un suo carattere. Sicuramente col passare degli anni non può estraniarsi dal proprio tempo, considerando i cambiamenti sociali e culturali, ma non per questo deve cambiare personalità. A maggior ragione, in un periodo storico dove i cambiamenti sono numerosi e repentini, ciò che conta è rimanere sempre se stessi e non mutare in base alle mode o alle tendenze.
Il brand, rispetto ai suoi tratti valoriali, deve quindi diventare un entità precisa nella mente delle persone. Spesso, un’attività di comunicazione distonica a tali valori può generare dei danni permanenti al brand, snaturandone l’essenza e, peggio, creando nel consumatore una sorta di moraviana indifferenza.
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QUANDO I BIG SI RIFANNO IL LOOK: Google, Facebook & Co.
«Il rebranding di Google, per esempio, è probabilmente servito a migliorare tutti gli aspetti di uniformità dell’identità e a favorire il processo di semplificazione della sua applicazione. Ma, tali operazioni, possono nascondere delle trappole: in questo caso e in quello recente di Ebay, il rischio è quello di ottenere una disarmante omologazione connotativa. Si va contro la funzione principale di un marchio: quello di associare valori differenzianti».
Questo articolo è ripreso dalla rivista “Pubblicità Italia” nr. 9 – Novembre 2015 (TVN Group)