Nutella o Coca-Cola: in termini percettivi, cosa definisce il prodotto e cosa definisce il brand? Nutella e Coca-Cola sono sia un prodotto sia un brand, ma dov’è il confine tra le due entità? Questa è solo una delle questioni a cui tutte le migliori marche del mondo lavorano per definire la propria “strategia di identità”.
Una connessione diretta tra prodotto e brand, in termini di evocazione di senso, potrebbe infatti generare un problema di branding molto frequente, chiamato di “sovrapposizione identificativa”.
La sovrapposizione qui intesa, si riferisce all’associazione mentale esistente nelle componenti caratteriali ed emotive tra prodotto e marca, che limita la ragion d’essere di quest’ultima.
Citando per esempio Apple, con il suo «Think different» aveva lo scopo di posizionare il brand attraverso un modo di essere e di pensare, riferendosi non esplicitamente all’azienda o al prodotto bensì a un determinato gruppo di persone, discriminate e isolate, in una America dove lo status-quo puntava all’omologazione e alla posizione sociale.
Naturalmente il concept era reso tangibile anche grazie all’innovazione dei primi computer ma, oggi, visto che i prodotti sono clonati tra loro e praticamente uguali ai competitor, ci sarebbe da chiedersi: è ancora valido l’originale payoff?
Presidiando oggi un’idea di esclusività, grazie a una proposta considerata tendenzialmente di lusso, si rileva infatti quanto ultimamente Apple comunichi attraverso il prodotto, dove performance e prezzo sono le leve con cui esprime la propria differenza. Non parla più agli anticonformisti, uniformandosi paradossalmente ai tradizionali brand di “status”.
Apple è la marca per antonomasia, un punto di riferimento per il branding globale e per questo sempre sotto i riflettori, compresi quelli dei tecnici del settore, i quali non possono fare a meno di segnalare al Gruppo di Cupertino il pericolo che incorre nell’inficiare la distintività acquisita con tanta acutezza, col rischio concreto di minare la personalità di marca e quindi di perdere nel prossimo futuro il nobile titolo di brand.
Il processo di “cannibalizzazione” del brand da parte del prodotto è un male del nuovo millennio, emerso dall’evoluzione contemporanea del mercato moderno, in cui il marchio capitalizza le performance di business e guida le scelte commerciali.
Oggi risulta fondamentale non relegare la funzione del brand alla mera identificazione di una proprietà d’impresa, a vantaggio di una creazione di valore aggiunto diverso dalla concorrenza, cioè oltre alla qualità e alle prestazioni del prodotto.
Gestire il brand come un asset autonomo consente di “vendere” un’offerta basata su aspetti intangibili e di rendere competitivo un prodotto o un servizio altrimenti indifferenziati, specialmente in questo scenario governato della percezione del consumatore che, a parità delle caratteristiche intrinseche, seleziona e compra solo in base alla forza promozionale o alla notorietà.
Il fattore critico per ridurre al minimo la minaccia di cannibalizzazione identificativa è rappresentato dal livello di relazione tra prodotto e marchio: più il prodotto si allontana concettualmente dal marchio, più quest’ultimo si trasforma in marca.
Questo è l’assioma in grado di indicare la strada da seguire per rendere più longevo un brand.
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