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Brand Difference: distinguersi per sopravvivere

Le perenni incertezze politiche ed economiche e l’avanzata dell’intelligenza artificiale non permettono di elaborare proiezioni attendibili per il mondo dell’industria, cambiando le leve competitive.

 

Sulla base di questo scenario e di fronte ai continui cambiamenti mondiali, è fondamentale considerare nuove istanze strategiche e puntare sull’asset “brand”, quale di leva capace di differenziare un’azienda da un’altra.

Il presupposto è che «tutti hanno un marchio ma pochi possono fregiarsi del titolo di marca». Naturalmente non è centrale il fattore della notorietà, bensì alla capacità intrinseca di un brand di creare valore aggiunto a un’azienda e la sua offerta.

 

Per questa nuova istanza – in particolare per le multinazionali italiane – non importa che si tratti di una marca b2c, di un’impresa b2b oppure di un ente pubblico o privato, perché in tutti i casi emerge la necessità di presidiare in modo distintivo un mercato o un territorio.

 

In pratica significa che tutti hanno un marchio – inteso come segno identificativo, associabile a un’impresa o a un prodotto – ma, dal punto di vista delle sue prestazioni, non sempre è in grado di valorizzare ciò che è un’impresa e ciò che fa un prodotto.

 

«Lo scopo è di “ingaggiare emotivamente”
il pubblico a cui ci si rivolge».

 

Ecco perché è necessario spostare il focus dal marchio alla marca, per disporre di un’entità identificativa più performante, abile nel rappresentare un modo di essere e di pensare, oltre la rappresentazione delle prestazioni funzionali di un prodotto.

Il mercato ha subito rivoluzioni notevoli in pochi anni, tali da ribaltare completamente la fisionomia dello scenario competitivo e rivedere ogni paradigma per la costruzione e l’affermazione di un business.

 

Il modo stesso di fare business si sta trasformando

È necessario, in questa fase storica, che le aziende cambino la mentalità di management, oggi prevalentemente basata sulle caratteristiche dell’offerta commerciale, in una strategia di business orientata a far leva sul brand.

 

Se il modo di operare sta cambiando, rendendo difficile, appunto, puntare solo sul prodotto o il servizio offerto – perché sempre più raramente costituiscono il reale fattore competitivo – le aziende devono ambire a evolvere l’approccio identificativo.

Solo così sarà possibile trasformare una politica di vendita, concentrata solo sul lodare ed esaltare il prodotto, in un sistema orientato alla valorizzazione della propria marca.

 

Un nuovo modello

Il branding, inteso come modello di business fondato sulla proposta di una marca, è la leva competitiva moderna, l’unica per consentire la costruzione di una proposta di vendita unica, impossibile da duplicare, dotando un prodotto o un’azienda di quella personalità necessaria per porsi in modo distintivo sul mercato.

La bontà di questa alternativa strategica è confermata dalle continue crisi economiche e geopolitiche, che portano a una “deviazione” da ogni prassi consolidatasi nel passato, tenendo in aggiunta anche conto dell’enorme influenza esercitata dal digitale.

Se fino a pochi anni fa, per esempio, la ragion d’essere di una marca era la mera comunicazione di uno stile di vita, ora un brand deve assolvere a un compito superiore: intrigare il proprio pubblico attraverso l’interazione sintonica, esponendosi con la condivisione di un ideale che vada oltre a ciò che un’azienda produce

 

Ma che fine fa il prodotto?

La qualità di un prodotto (o un servizio) è sempre importante e imprescindibile ma, data la sua facile clonabilità da parte della concorrenza globalizzata, non è più così centrale come un tempo.

 

Se è vero che un prodotto, per avere successo, deve essere immesso sul mercato solo se si è sicuri che possa soddisfare un bisogno reale delle persone, è altrettanto vero – rispetto alle esigenze dell’individuo moderno – che oggi sia più rilevante appagare i bisogni reconditi della mente degli individui, in cui il prodotto (nelle sue componenti fisiche) non incide particolarmente.

 

A differenza di un prodotto, un brand, per sopravvivere ai cambiamenti del mercato e dei consumi, deve dotarsi di una personalità autonoma e, paradossalmente, svincolata dalle caratteristiche intrinseche del prodotto stesso e dalle tendenze sociali. È questo che consente di distinguersi, differenziando un’offerta da un’altra.

 

Il percepito vince la realtà

Non siamo più nell’era della realtà, bensì in quella della percezione: è stato scientificamente provato che, a livello inconscio, per le persone non è vero ciò che è reale, bensì ciò che un determinato pubblico lo ritiene tale.

 

Dunque, serve elaborare un metodo orientato a coinvolgere umanamente il proprio cliente, creando una sintonia di pensiero senza che il cliente/consumatore si senta vittima di una proposta commerciale.

 

Specialmente in quest’era di data-analysis, machine-learning e algoritmi sempre più sofisticati, il fattore umano incrementa il valore dell’identità di un’impresa.

Considerando che – come dimostrano le neuroscienze – il 90% delle decisioni umane non sono del tutto consapevoli, un brand deve personificare un’azienda, incarnando un “credo” per presidiare la sfera emotiva delle persone.

 

«È vitale oggi che una persona
non si debba sentire vittima predestinata
di una proposta commerciale».

 

L’ Intelligenza Artificiale governerà sempre più le transazioni economiche, è assodato, ma funzionerà sempre e solo finché le emozioni e gli istinti faranno parte della natura umana

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