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Digital Identity

Il prodotto è sempre stato un medium del brand, tra i touchpoint più efficaci per rendere tangibile l’identità di una marca, però, rispetto all’era pre-covid – in cui la normalità era il contatto fisico all’interno dei punti vendita – oggi la qualità della relazione si è attenuata a causa della digitalizzazione obbligata.


Solo un paio di dati per rendere l’idea del cambiamento: nel 2020 gli acquisti online degli italiani sono cresciuti raggiungendo i 32,4 miliardi di euro e le vendite online di prodotti sono incrementate notevolmente, aumentando quasi del cinquanta percento.*

Sicuramente la pandemia da Covid 19 ha accelerato questa trasformazione, verso una dimensione più virtuale, ma forse è sempre stato un processo inevitabile, frutto dello sviluppo delle tecnologie e del fatto che una parte significativa delle nostre vite – e quindi anche delle vite dei brand – si è spostata online: non solo social-network ma sempre più eventi e rapporti interattivi veri e propri.

Molte aziende naturalmente erano già preparate, pianificando l’industrializzazione 4.0, sia in termini strutturali sia per quanto riguarda le azioni di marketing e comunicazione, altre invece stanno affrontando questo delicato passaggio con difficoltà, consapevoli che la rapidità sarà un fattore critico di successo.

Paradossalmente proprio per i grandi marchi non si tratta di una facile evoluzione, citando a tal proposito fra gli altri Thomas Meyer, il patron di Desigual: «il digitale? Investirò 50 milioni. Tutta la logica distributiva va ripensata».

 

Alterazione del percepito

Per ripensare la distribuzione è necessario capire cosa preservare del modello precedente e individuare una strategia duratura, per non essere condizionati dai repentini mutamenti sociali in merito alla Rete, considerando peraltro l’impatto che tutto ciò può avere per l’entità “brand”. Il rischio infatti che corre il brand, in un tale scenario, è di intaccare la propria identità.

 

«Una volta era il prodotto
che creava il brand,
oggi deve essere il contrario»

 

Il fenomeno di alterazione del percepito esistente è ricorrente nei contesti di crisi, molte volte a causa di attività tattiche e superficiali disposte dalle aziende – per esempio attraverso campagne promozionali proponenti un prezzo basso – per cercare di ridurre i danni commerciali.

Ovviamente la risposta giusta passa dall’adeguamento digitale, se non altro per trasmettere l’impressione di essere una marca reattiva e al passo con i tempi. Però, questa componente, non è sufficiente per competere e rappresenta solo uno dei tanti prerequisiti che rientrano nelle aspettative del consumatore.

Il brand nel business moderno interpreta un ruolo primario e, proprio a causa delle relazioni ormai mediate da dispositivi elettronici, diviene sempre più un punto di riferimento nella vita delle persone, soddisfacendo il loro recondito bisogno di legami stabili.

 

Non ti riconosco più!

Puntare a tutelare la familiarità acquisita nel tempo è l’obiettivo da fissare per ricostruire le modalità con cui essere presenti su Internet senza inficiare i valori esistenti e quindi individuare una strategia capace di integrare la personalità notoria con quei nuovi tratti caratteriali utili per essere credibili – durante il processo evolutivo in atto verso il digitale – e farlo, allo tempo stesso, coerentemente con il vissuto della marca.

Comprendere e razionalizzare il profilo del proprio brand (oltre le caratteristiche intrinseche del prodotto) è lo step da compiere per non compromettere l’unicità di marca o, peggio, generare dei dubbi durante la transizione da off a online.

È quest’ultima la parte più delicata, anche per evitare di suscitare sospetti su ciò che si era o non si era: nel mettere troppo in evidenza le novità, spesso, si espone il brand a una deleteria sensazione di ambiguità.

 

*Dati Osservatorio eCommerce B2C – Netcomm School of Management del Politecnico di Milano.

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