Lanciare prodotti e servizi diversi, ascoltare le nuove esigenze dei clienti, investire in tecnologie avanzate, ripensare i segmenti di mercato, rivedere le politiche di prezzo e i canali di vendita… sono questi i fattori critici per competere nei periodi di crisi?
Le aziende se lo sentono ripetere continuamente e sono esortate da ogni direzione – dall’esterno e dall’interno – a cambiare ed essere diverse quando si è in tempi difficili.
Sembra che nulla possa essere più come prima e che si debba tracciare una nuova mappa per i nuovi leader d’impresa.
Precisiamolo subito, l’urgenza di adattarsi a un nuovo contesto è innegabile. Intervenire sul prodotto o su altre componenti strutturali è un prerequisito per chi è abituato ad attraversare i normali cicli di cambiamento. Oggi però gli aspetti tangibili non sono più sufficienti a disegnare il vantaggio competitivo.
Certi scenari portano alla luce sfide reali, per le quali è invocata una “leadership coraggiosa e ispirata”, dimenticando a volte che nel concetto stesso di azienda sono incluse normali caratteristiche di intraprendenza, ancor più evidenti nelle imprese a capitale famigliare, già allenate in questi processi di superamento del passato e di rinascita.
C’è in questo modello aziendale un capitale economico sostenuto da un capitale culturale, un aspetto che si è dimostrato capace di rendere robusto un approccio di business: secondo i dati dell’Osservatorio Aub [Aidaf], analizzando l’anno della pandemia 2020, da gennaio a fine settembre i Family Business hanno rivelato maggiore solidità e capacità di risposta agli eventi, anche in Borsa, dove sono riuscite a limitare le perdite al 13,8% rispetto a una media del 19,7 % di altri modelli di governance.
Le diverse generazioni imprenditoriali che si passano il testimone, hanno spesso dovuto attraversare la stretta di due spinte opposte: la necessità o il desiderio di cambiamento e la tutela delle scelte originarie, intorno alle quali si è tessuta la storia del brand aziendale.
Il punto cruciale è nell’occorrenza di integrare lo slancio dei più giovani con la resistenza della generazione precedente, esperta a sua volta nel risolvere lo stesso confronto fra istinto al rischio e responsabilità di un patrimonio non solo economico.
È proprio in questo confronto generazionale – soprattutto in periodi di crisi, pandemie comprese – che serve il coraggio della negoziazione tra valori d’epoche diverse con la rinuncia e l’adattamento in apertura all’altro, in un processo spesso naturale in ambito famigliare.
In questo senso le “imprese di famiglia” sono modelli di lungimiranza, perché possono sostenere lo sguardo su prospettive e dinamiche in cui i numeri hanno un ruolo non esclusivo: il business cresce grazie a una gestione operativa in prima linea delle risorse cardine per la sopravvivenza e per lo sviluppo futuro – dal capitale umano all’innovazione di processo e di prodotto – con una partecipazione affettiva e dunque effettiva a quello che sarà l’impatto di tali scelte sulle generazioni prossime.
Questo impegno ha un fattore chiave intrinseco che emerge dai fatti: la preservazione dell’heritage identitario, cioè un’eredità potenzialmente perpetua e immortale. Un vero e proprio approccio ispirato, con una forza difficilmente attivabile in altri modelli, in cui gli obiettivi rimangono spesso agganciati a soli fattori quantitativi.
L’identità aziendale si nutre inoltre di una sana attitudine a conservare, ad adattare i propri valori ai nuovi scenari, fedeli a una vocazione che rappresenta il seme di un’avventura imprenditoriale che ha continuato a essere il magnete di scelte e decisioni.
Il brand, quale risultante dell’identità d’impresa, produce un’ispirazione che non è solo radice ma linfa, capace di scorrere in una storia di comunità sempre meno chiusa in sé stessa e con abbastanza energia da moltiplicare sugli stakeholder risultati economici e sociali.
Azionariato più stabile, garanzie sul lungo termine, legami con il territorio di appartenenza, sostenibilità come scelta di sobrietà e oculatezza, che si fonda sul rispetto della regola che ogni risorsa vada ben gestita: tutto ciò non è uno storytelling moderno ma uno stile imprenditoriale.
Questi elementi di branding rappresentano di fatto l’ossatura di un’organizzazione che, se sana e adatta alla crescita, può cambiare progressivamente il proprio stare nel mondo, in maniera strategica, flessibile e creativa.
L’impresa fissa e veste quel carattere che, grazie al “corporate brand”, smette di trasmettersi solo per genealogia ma inizia a farlo in maniera reticolare, testimoniando una capacità di “management rigenerativo” efficace per creare engagement nei confronti del proprio pubblico.
Sempre secondo i dati dell’Osservatorio Aidaf, sono proprio i family-brand a dare continuità e stabilità alla politica economica italiana e proprio il controllo famigliare si traduce in vantaggio competitivo per l’ottica di lungo termine.
Le aziende in cui la proprietà e la gestione sono in mano a una famiglia, risparmiano e investono in un ritmo che oscilla tra il custodire ricchezza e il costruire futuro. Tradotto in numeri, questo significa per gli investitori un bilancio che migliora margini e flussi di cassa.
L’azienda famigliare con un vissuto, a dispetto delle incalzanti previsioni di profezie apocalittiche, non deve essere totalmente disruptive, per non perdere un valore acquisito dalla sua storia e da un’esperienza autentica.
Per affermare un’identità di marca, unica, il management non deve cedere alla seduzione di proposte che non tengano conto di quanto il passato di un’impresa possa essere ancora una valida fonte di innovazione per le strategie proiettive, anche a supporto della tutela del “buon nome”, premessa storica a quella che oggi viene chiamata Brand Reputation.
Oggi può essere utile ritornare al centro delle proprie gesta imprenditoriali, là dove c’è stata la prima scelta, non con atteggiamento romantico o nostalgico, ma in un processo di “sense making” che vede il corporate-brand come catalizzatore di nuove energie per valorizzare ogni strategia finanziaria, umana e di relazione con il territorio e i propri mercati, italiani e internazionali.
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