Nel branding, alcuni errori ricorrenti si trasformano in vere e proprie insidie, capaci di minare la coerenza, la credibilità e l’efficacia della marca. Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia – i sette peccati capitali del branding – non sono semplici sbavature: sono segnali di disallineamento profondo tra ciò che il brand vuole essere e ciò che realmente comunica.
Riconoscerli è il primo passo per evitarli. E per costruire una brand identity autentica, rilevante e sostenibile nel tempo.
SUPERBIA
L’egocentrismo del brand
Un’identità che comunica solo sé stessa, senza ascoltare o creare connessioni autentiche, si chiude in una narrazione autoreferenziale.
Il brand smette di generare senso, e diventa una voce fuori campo, lontana dalle persone a cui si rivolge, annullando totalmente il primo comandamento del Branding: interagire con le persone “per sintonia”.
AVARIZIA
Ridotti investimenti
Limitare le risorse dedicate alla definizione della brand identity, o non garantire coerenza tra i vari touchpoint, può compromettere l’intero processo di costruzione della marca.
Un’identità non sostenuta correttamente si traduce in un’immagine frammentata, non coerente e poco memorabile, inficiando il processo di «trasformazione del proprio marchio in una marca».
LUSSURIA
Eccessi con poca sostanza
Un’identità che punta solo sull’effetto, sull’apparire, sulla seduzione, rischia di risultare artefatta. L’esuberanza non supportata da contenuti autentici o da una reale strategia di marca finisce per svuotare il brand di senso e credibilità.
Il rischio è quello di costruire una comunicazione spettacolare ma vuota, che attrae solo nell’immediato, senza generare un vero legame con il pubblico. Una marca riconoscibile e duratura non si basa sulla spettacolarizzazione, ma sulla coerenza tra forma e sostanza, tra emozione e significato.
INVIDIA
Emulare la concorrenza
Non desiderare il brand d’altri. Ispirarsi ai leader di mercato o ai soliti noti è legittimo, ma copiarli porta a perdere la propria voce distintiva.
Quando mancano una visione autentica e una strategia consapevole, il brand rischia di dissolversi nel rumore competitivo, apparendo come una semplice variante – meno riconoscibile – di ciò che esiste già.
L’identità perde così la sua funzione primaria: essere un punto di riferimento chiaro, credibile e memorabile nella mente del pubblico.
GOLA
Sovraccarichi identificativi
Troppi elementi, troppi messaggi, troppi stimoli: l’over-branding crea confusione e indebolisce la riconoscibilità del brand.
L’accumulo di elementi connotativi – segni, slogan, colori e registri comunicativi – ne compromette la coerenza.
Anche la sregolatezza verbale, “l’ansia di dire la propria” in ogni occasione, con un sovraccarico comunicativo fatto di messaggi ridondanti, claim non coordinati, slogan, emoticon, hashtag, codici cromatici e registri linguistici disallineati, mina la riconoscibilità.
Il rischio è di compromettere la credibilità della marca, soprattutto nei contesti digitali, dove la sintesi e la chiarezza sono imprescindibili. Un’identità di marca efficace è chiara, essenziale e focalizzata.
IRA
Reattività furiosa
Reagire impulsivamente alle critiche o inseguire i trend del momento senza una riflessione strategica tradisce l’assenza di una visione chiara. Ogni azione affrettata può trasmettere un percepito di fragilità, incoerenza o scarsa autorevolezza.
Per questo, è fondamentale evitare risposte aggressive – in particolare sui social media – o cambiamenti drastici non supportati da un’analisi strutturata. La gestione del brand richiede lucidità, coerenza e capacità di mantenere la rotta, soprattutto nei momenti di maggiore pressione esterna.
ACCIDIA
Lenta evoluzione
Un brand che rimane statico, ignorando i cambiamenti del mercato e le nuove aspettative del proprio pubblico, rischia di perdere rilevanza e attrattività.
Spesso la revisione della brand identity non è un vezzo, ma una necessità per non risultare obsoleti e per trasmettere un percepito di azienda aperta al cambiamento, attenta al presente e capace di proiettarsi nel futuro.
In contesti ad alta competitività, essere percepiti come un partner aggiornato e affidabile rappresenta una leva concreta di preferenza.
Immagine di apertura: “Il Peccato originale e cacciata dal paradiso terrestre” – Michelangelo Buonarroti, affresco del 1510 circa (Cappella Sistina, Musei Vaticani). Le immagini interne sono tratte dalle opere di Jacob de Backer (“I Peccati Capitali” – 1570/5 – Museo di Capodimonte – Napoli).
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L’era della percezione