Ogni modello di identità indica un criterio coerente con il contesto e quindi non esiste una strategia giusta per tutto. Ciò premesso, la novità è che oggi risulta anacronistico separare nettamente, in base a certi paradigmi, il corporate-brand dal product-brand. Intendiamoci, è chiara e pertinente la differenza terminologica e sostanziale tra le due entità – marca di impresa e marca di prodotto – ma ciò che spesso sfugge è la relazione intrinsecamente esistente tra le due entità e l’incidenza che l’identità aziendale ha sull’identità del sistema di offerta.
Il corporate-brand andrebbe considerato attraverso una nuova visone e quindi gestito per la sua reale funzione, quella cioè di emittente assoluto di tutto ciò che rappresenta e ingloba, compreso ogni singolo brand di prodotto.
La gerarchia è evidente ma, con la dovuta regia e attribuzione di ruoli, il nuovo paradigma emerge dall’opportunità di generare un “mutuo accreditamento valoriale” tra le due entità identificative: il corporate-brand ha il compito di generare valore aggiunto alla proposta commerciale e – in modo tangibile – il product-brand ha quello di trasformare l’azienda in una marca a tutti gli effetti.
Operativamente i fattori critici di successo si muovono su due binari paralleli: il primo riguarda l’approccio, il secondo il management.
In termini di approccio è necessario operare sulla comunicazione (istituzionale e di prodotto) e sul marketing (canali e disco di vendita), creando “interazione” costante tra il corporate-brand e il product-brand.
In termini di management è necessario costituire una nuova figura in azienda – che potremmo chiamare “Brand Identity Director” – gerarchicamente trasversale al Communication Director e al Marketing Director – oltre che ai product-manager e alla direzione commerciale – ma con potere di delega maggiore rispetto a queste figure. Il Brand Identity Director sarà responsabile del brand in ogni sua forma – corporate e product – guidando tutti gli stakeholder interni e quelli delle reti affiliate, con l’obiettivo di verificare e controllare la corretta applicazione a ogni touchpoint.
È una situazione molto frequente quella in cui un prodotto abbia un’identità distonica con quella dell’azienda proponente, con conseguenti incertezze sulla credibilità, sullo sviluppo in nuovi mercati e sulla capitalizzazione economica.
Le cause di queste distonie possono essere diverse: dalla sottovalutazione dell’incidenza che il branding può avere alla visione del management, fino al passaggio di un marchio da un’organizzazione a un’altra, a causa di una fusione o di una acquisizione. In questi casi, consapevoli della delicatezza intrinseca del problema, è necessario intervenire il prima possibile con una analisi specifica, considerando il vissuto delle diverse realtà e il momento storico in cui si agisce nell’organizzazione per attivarne l’integrazione.
Questo fenomeno prende il nome di “cannibalizzazione identificativa”. In questi casi è fondamentale individuare il gap esistente tra le due (o più) entità, in termini di notorietà e, specialmente, in termini di caratterizzazione, capace di evocare una forza intrinseca se ben comunicata.
Oltre alla notorietà c’è spesso un problema più profondo o, dal punto di vista del branding, squisitamente tecnico. Il rischio, se il problema non viene risolto con accurate procedure, è quello di una progressiva “dispersione valoriale” – finanziaria e di significato – non facile da recuperare col passare del tempo.
Questi problemi possono riguardare anche le realtà che adottato un chiaro Modello Multiplo, dove spesso la relazione più tipica è b2t (Business to Trade).
Questo fenomeno prende il nome di “sovrapposizione identificativa” e spesso è un freno all’implementazione del business oltre che una complicazione per la comunicazione. Non sempre si può risolvere intervenendo sul sistema di naming – che a volte è la strada risolutiva – quindi si deve operare sull’architettura di marca e di offerta, attribuendo ruoli e funzioni chiare e distinte alle diverse entità identificative.
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