Per “rebranding” si intende quel processo di evoluzione dell’identità di una marca, intesa come entità di sintesi delle modalità con cui un’azienda – o un prodotto/servizio – decide di connotarsi nei confronti del proprio pubblico.
Quindi, per esempio, non significa che, in questo processo, si debba giocoforza intervenire sul design del logo.
In alcuni casi sarà importante effettuare delle vere e proprie rivoluzioni, in altri invece potrebbe risultare sufficiente una operazione di revisione di alcune componenti del sistema di identità, affinché possa attualizzarsi mantenendo la propria riconoscibilità. I marchi che sono riusciti a rimanere inalterati nel corso del tempo, infatti, leggono costantemente i cambiamenti sociali e di mercato, preservando il loro percepito, a dispetto degli anni.
Esistono quindi due macro-livelli di rebranding:
– BRAND CHANGEMENT
– BRAND EVOLUTION
L’aspetto discriminante, in entrambe le situazioni, si lega alla capacità di verificare quello che un marchio identifichi oggi e quali sono i valori che rappresenta, nel percepito del proprio pubblico, analizzando e razionalizzando in profondità i motivi che dovrebbero portare al rebranding.
Condividere in azienda preventivamente le MOTIVAZIONI per cui risulti necessario un rebranding, è fondamentale per stilare i KPI utili per verificare in futuro il raggiungimento degli obiettivi.
Ciò premesso, di seguito emergono i casi principali in cui potrebbe essere utile un’operazione di rebranding:
Uno dei motivi più ricorrenti che giustificano un intervento di “Brand Changement” risiede nelle situazioni in cui il percepito di un brand sia divenuto antitetico con il reale status dell’azienda o del prodotto/servizio identificati, non apportando più nessun valore aggiunto o, peggio, generando dubbi tali da inficiare o danneggiare business e credibilità.
Molte aziende realizzano troppo tardi di avere un percepito sconveniente o inadeguato da parte degli stakeholder, col rischio di dover ricorrere a rimedi drastici e costosi per ristabilire un ambiente favorevole. E spesso le cause non sono imputabili al prodotto/servizio o all’azienda stessa, ma ai mutamenti del mercato e del contesto socio-economico.
E si pensa raramente che un cambiamento radicale della brand identity potrebbe risolvere situazioni complicate.
Nel caso di interventi da effettuarsi in chiave “evolutiva”, invece, qualcosa da preservare c’è sempre. Si ha a disposizione un vissuto che non è interamente obsoleto o non pertinente. La parte lesa o non più adeguata andrà quindi estirpata e la parte sana andrà opportunamente “traghettata” in una rinnovata Brand Identity.
Come detto, nella vita di un’azienda possono verificarsi avvenimenti critici – esogeni o endogeni – che di fatto minano tutto quanto di valido vi era agli albori di un marchio. Ma, nella maggior parte dei casi, è comunque possibile conservare qualcosa.
Nel preservare il visssuto accompagnato però da un lieve intervento nella brand identity, sarà possibile rendere credibile l’integrazione di una nuova offerta e quindi migliorare le opportunità d entrare in nuovi mercati.
Un’altra tra le circostanze più frequenti, che richiederebbero un intervento di rebranding, è quando un’azienda ha contenuti eccellenti e distintivi, rispetto alla concorrenza, ma che non emergono come dovrebbero.
Capita di attribuire al brand un compito di facciata – per buttare il cosiddetto fumo negli occhi – e compensare lo scarso valore dell’azienda, ma a volte è necessario proprio il contrario: trasmettere la realtà.
In questi casi, un intervento di rebranding può risolvere questa (non tanto strana) situazione di “contro-status”, dove il marchio non aiuta a evocare un percepito all’altezza di ciò che identifica, anzi, riducendone il valore. Il fattore critico, qui, risiede nell’ individuare una brand identity coerente con gli aspetti più intangibili che riguardano l’emittente.
Negli anni, può succedere che il percepito di un marchio si affievolisca, per motivi diversi. E un’azienda leader deve, a quel punto, trovare il modo di ribadirlo. Non è raro infatti incontrare realtà che nel corso del tempo hanno trascurato il proprio brand, non l’hanno cioè più coltivato – come si suol dire – rendendolo passivo.
In questi casi si parla di “brand revitalization”, intervenire cioè con l’intento di recuperare gli antichi splendori o semplicemente di aggiornare il linguaggio e il sistema di valori del marchio.
In caso di fusioni o acquisizioni, un’operazione di rebranding può essere una esigenza o una opportunità.
È una esigenza sia quando i marchi in questione sono tutti noti, sia quando uno dei marchi dovrà prevaricare gli altri, in particolare per gestire la transizione verso l’interno dell’organizzazione e verso il pubblico del marchio (o dei marchi) che scomparirà.
Nel caso in cui due o più aziende si trovino a dover attivare una integrazione, un rebranding genera inoltre una rara opportunità: sfruttare il cambiamento per trasmettere un forte segnale per ribadire, attraverso l’evento eccezionale, alcuni messaggi che in passato non erano stati recepiti.
Spesso in questi casi assistiamo a delle vere trasformazioni, dove è possibile rinnovare il modo di porsi in un determinato settore e quindi godere dei vantaggi che una tale rivoluzione consente di ottenere in chiave di differenziazione.
Il problema principale, in questi casi, non è quello di creare un’identità nuova, bensì di integrarne due altrettanto forti e distintive.
Un altro frangente che potrebbe imporre la revisione dell’identità, riguarda le aziende che innescano un processo di internazionalizzazione. Anche qui, un rebranding serve, soprattutto, per due motivi: quando l’identità stessa non appare più adeguata per rivolgersi a un pubblico diverso o globale, oppure quando si ha bisogno di comunicare l’evoluzione alla clientela esistente.
E, al contrario, si dovrebbe intervenire in caso di localizzazione.
Infatti, un brand global-oriented potrebbe risultare non performante per alcuni mercati specifici. L’analisi degli aspetti culturali in ottica branding – e non di marketing – risulta il fattore critico di successo dell’operazione.
È spesso vitale intervenire in quelle realtà produttrici che hanno un brand debole e il cui business è basato prevalentemente sul “trade”, per dare maggiore impulso verso il consumatore finale “trasformarmando il proprio marchio in una marca”, al fine di guadagnare potere sul dealer e poter imporre i propri prezzi e le proprie strategie.
Il fattore critico di successo risiede nell’ottenere un ruolo efficace all’interno della catena distributiva, per rafforzarsi in chiave propositiva rispetto al target finale, proprio per non soccombere nella filiera della sopravvivenza.
Un processo di rebranding avrebbe il compito di attribuire una identità meno subordinata al prodotto o servizio, bensì su aspetti intangibili tipici della personalità di una marca.
Dal lato del retailer, invece, intervenire, in termini di identità sulla propria insegna – spesso vista come un semplice contenitore di diversi brand – diventa necessario se la si desidera trasformare essa stessa in un brand.
Lo scopo è generare un percepito da marca e quindi incrementare il proprio potere verso i produttori e, per esempio, creare un sistema a marchio proprio con private-label dedicate.
La trasformazione di un marchio-insegna in un brand, concettualmente, è una pratica meno complessa di quanto si possa pensare. Il consumatore tende a fidarsi del venditore da cui compra, cercando di attivare una relazione. L’aspetto più critico da considerare, oggi rispetto al passato, è la competizione dei big della distribuzione online.
Fino a pochi anni fa Internet era uno dei media, oggi è l’ambiente naturale in cui un brand vive e comunica. Però sono ancora molte le aziende che si stanno “digitalizzando” e che comunque non sono “compliant” con le moderne modalità di comunicazione, cambiando il senso della loro presenza sul mercato.
Può essere utile, dunque, operare sul sistema di identità affinché il brand sia predisposto a interagire in modo corretto ed efficace con le dinamiche della Rete.
Il modo di comunicare è ovviamente cambiato rispetto ai paradigmi in cui un messaggio seguiva un percorso lineare e univoco tra un “emittente” e un “ricevente”, dove l’azienda controllava la propria comunicazione. Questo purtroppo non è più possibile, bisogna infatti fare i conti con il “rimbalzare” dei messaggi emessi, i quali spesso ritornano al mittente totalmente distorti.
Un altro errore, ancora oggi diffuso, è ritenere che un mezzo “digitale” abbia un target differente. Quindi anche se per qualche strumento – per esempio una App – è possibile circoscrivere il pubblico di riferimento, sarebbe uno sbaglio cambiare il linguaggio e il tono del brand.
Infine, per sugegrire una legge universale, bisogna considerare che nonostante il medium sia virtuale, le persone che vi interagiscono sono reali.
Un’altra situazione che può far scaturire un intervento di rebranding è quando vi è la necessità di aggiornare o revisionare le unità di business, a causa di un adeguamento con il mercato o per introdurre una novità commerciale.
In questo caso, rivedere l’Identity serve per, da una parte, riorganizzare la Brand Architecture affinché il sistema generale di prodotti e servizi sia percepita in tutto il suo insieme, e dall’altra consentire una corretta ed equilibrata attribuzione di valore, senza che – come purtroppo avviene – un’azienda faccia “figli e figliastri” nella propria offerta.
Il lancio di un nuovo prodotto/servizio, o addirittura la costituzione di una nuova Divisione, sono momenti topici ed eccezionali per un’impresa: farsi supportare da una brand identity rinnovata e all’altezza del contesto, aumenterebbe il numero delle probabilità di successo per un miglior ritorno degli investimenti.
Vi sono altre situazioni in cui è consigliabile attivare una operazione di rebranding che, per completezza, elenchiamo di seguito ma che verranno argomentate su richiesta:
11. Adeguamento dello status di marca verso il pubblico interno
12. Calo di fatturato
13. Crescita del fatturato
14. Nuovo management
15. Cambio generazionale
16. Evoluzione della Vision aziendale
17. Acquisizione da parte di un Fond
18. Problemi di natura giuridica sul marchio
19. Passaggio da “Business-to-Business” a “Business-to-Consumer”
20. Concorrenza aggressiva
Concludendo, a prescindere dal contesto e dalla situazione in cui si attiva un processo di rebranding – sia per cambiamenti drastici oppure evolutivi – è sempre importante l’attivazione di una buona gestione della transizione, dalla precedente brand identity alla nuova, con un “deployment plan” studiato appositamente.
Ma quando, invece, non si deve intervenire su una brand identity esistente?
Scrivete a info@univisual.com
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