Garantire la tutela dell’immagine di marca, in Rete come nell’offline
Il tema molto attuale della Brand-Safety ha due macro dimensioni: quella relativa ai problemi di tipo legale e quella della preservazione di uniformità. Il primo aspetto comprende tutte quelle situazioni che le aziende in origine non avevano considerato, frutto delle evoluzioni verificatesi nel tempo, come i rischi che emergono durante un processo di internazionalizzazione, che può portare un marchio ad affrontare conflitti inaspettati, per esempio con un concorrente di un Paese straniero mai presidiato.
Per quanto riguarda la necessità di preservare l’unicità del brand, le aziende sono chiamate a concettualizzare la “Personality” della marca in modo più selettivo, riducendo i compromessi. Evitando cioè di circoscrivere il brand a un contesto troppo legato al prodotto o al proprio settore merceologico, contenendo le conseguenze che un’evoluzione futura possa dar luogo a messaggi distonici. In altre parole, bisogna saper prevedere, fin dall’inizio, i possibili sviluppi che il brand potrebbe avere e profilare un’identità pensata senza condizionamenti. La ‘Brand Personality’ deve essere sempre la stessa a prescindere dal canale o dal mezzo. Ciò rende più complicato, rispetto al passato, il concepimento di una personalità uniforme a prescindere dalla piattaforma mediatica.
Il brand deve avere una narrazione coerente e credibile in tutti i contesti, dicevamo, quelli abituali e quelli nuovi in cui si inserisce. Tale coerenza diventa un prerequisito di lungimiranza e ne condiziona la sopravvivenza. Purtroppo la Rete, per quanto sia caratterizzata da una forte dinamicità, nel tempo è – nel bene e nel male – conservativa.
E questa peculiarità può generare problemi, rendendo reperibili nel web dichiarazioni dell’azienda non più attuali o discordanti tra loro. L’unica possibilità di mantenere la propria credibilità, per i brand, è quella di essere sempre fedeli a se stessi. Solo così non si incorrerà nel pericolo di essere contraddittori rispetto a precedenti proposizioni.
L’esigenza di comunicare in tempo reale spesso prevarica anche la notizia ed è proprio questa esasperazione che consente alle “bufale” di inserirsi con maggiore facilità. Per farvi fronte, diventa utile definire un “credo di marca” e obbligare poi il brand ad attuare scelte di campo, mantenendovi fede con fermezza e costanza.
Oggi i brand devono esporsi più di ieri, soprattutto devono stringere legami più autentici e ragionevoli con l’utente, sposando temi più consistenti e vicini all’esperienza di vita degli individui.
Questo tipo di approccio, più partecipato, dà credito al brand che, a sua volta, potrebbe avvalersene nel caso fosse costretto ad assumere una posizione ferma rispetto a una fake-news che lo vedesse coinvolto. Se si riuscisse realmente a umanizzare il brand, instaurando con l’utente un dialogo sincero e non ipocrita, si potrebbe comunicare con un approccio semplice e umile senza il timore di passare inosservati.
Occorre classificare ciò che si intende per “contenuto inappropriato”. Nei limiti del politically-correct, rispetto al contesto sociale di riferimento, oggi diventa inappropriata qualsiasi cosa non risulti coerente con la marca; al contrario, risulta appropriata e quindi accettabile ogni posizione in sintonia con la propria identità e visione.
Una volta avvenuto il passaggio «da marchio a marca» – cioè da una dimensione fredda e circoscritta al prodotto/azienda, a una dimensione empatica ed emotiva – ogni brand ottiene una propria individualità e un ruolo chiave nella vita delle persone. Di conseguenza, la relazione che gli utenti hanno con il brand risulta più profonda e concreta.
Contemporaneamente, aspetti come eticità, sostenibilità, trasparenza, legalità non risultano più discriminati per l’accettazione di una marca da parte del pubblico, ma sono considerati prerequisiti.
Proprio in questo scenario cresce la difficoltà, per le aziende, di controllare la propria comunicazione. I canali social veicolano contenuti che sono in grado di prevalere su quelli espressi dalle aziende. È qui che il brand fa la differenza. I brand sono “avatar” che, di fatto, attuano una trasposizione tra gli aspetti più tangibili – come impresa, prodotto, marketing – con quelli intangibili, dove le componenti emotive e individuali sostengono la strategia di business.
Capita spesso di dover analizzare e affrontare problemi che certi tipi di comunicazione provocano sul brand. Solitamente il danno è causato da attività creative che tengono poco in considerazione l’identità della marca, oppure dall’assenza o errata profilazione di un’identità ben definita. In mancanza di questa, c’è il caos. La difficoltà è che oggi non siamo più nell’era della realtà, ma in quella della percezione: non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che il tuo pubblico crede di te. Questo rivoluziona tutto, perché il territorio del brand è sempre più un territorio mentale, in cui la verità psicologica prevale su quella fisica. Parliamo di qualcosa che da intangibile diventa estremamente tangibile, capace di generare delle convinzioni potenzialmente irreversibili.
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