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1 Ott 2016

L’evoluzione del brand contro l’estinzione

In una esclusiva intervista di Mediaforum, il Ceo di Univisual svela il momento critico per i brand che devono riconsiderare il valore della Brand Identity.

Evolvere. Per non estinguersi.
di Daniele Bologna

 

“Evolve or die”. Gaetano Grizzanti, Ceo e Founder di Univisual, non ha dubbi. «Perché dopo il passato periodo di forte crisi, le aziende stanno considerando il valore della brand identity, per reagire al cambiamento e alla trasformazione aziendale». Da trent’anni impegnato sul fronte del complesso ed emozionante mondo della brand identity, il “professore” racconta i punti salienti di un percorso virtuoso lungo tre decenni, affronta i nodi attuali del mercato e le prospettive della sua struttura. Un’impresa sempre fedele alle sue origini, al suo credo, alle sue prerogative. E a un impegno costante e trasparente verso i clienti. Così, tutto questo diventa cultura

È una consuetudine preziosa per Mediaforum quella che ci riporta nelle stanze di Univisual. Mentre fuori l’autunno milanese non vuole essere torrenziale e piangente, ad accoglierci, come sempre, è il fondatore e Ceo Gaetano Grizzanti. Si deve parlare di brand identity, certo. Perché Univisual è specializzata in questo. In realtà, si andrà molto più in là. Ed è stato davvero impegnativo, poi, riassumere in queste pagine, in un pugno di frasi, l’approfondito percorso dialettico di Grizzanti nel corso del nostro dialogo: innumerevoli gli spunti, costanti le digressioni, in un crescendo continuo di cambi di direzione. A volte improvvisi, capaci di scardinare un contesto di certezze e sicurezza teorica. Altre volte precisi e obbligati nella catena perfetta che porta alla prassi operativa. Si oscilla da un rigoroso piano logico-sequenziale a “schegge” di riflessione che ricordano lo stile di approfondimento magmatico-puntuativo tipico dell’“internet thinking”. C’era da aspettarselo, tanto materiale di confronto e di analisi da un professionista che ha contribuito in misura decisiva all’affermazione della brand identity moderna, rivoluzionando i paradigmi tecnico-culturali e l’approccio alla disciplina. Brand Advisor, Identity Consultant, uomo d’impresa e docente meticoloso, Grizzanti spicca come punto di riferimento del settore; e oggi, con il suo Studio, è discriminante per la cultura del branding in Italia.

 

Professor Grizzanti, sono passati quasi due anni dal nostro ultimo incontro. Tante cose sono avvenute e l’industria del settore continua a essere attraversata da venti di trasformazione. E Univisual? A che punto è?

Quest’anno, per noi, è significativo grazie a una importante ricorrenza: un’attività nel campo che raggiunge i trent’anni. Un’esperienza, iniziata nel lontano 1986, verticale sulla marca e il marchio, che ha raggiunto un’estrema specializzazione, con Univisual protagonista del mercato e in questo percorso virtuoso. Ammetto che in trent’anni mi sono focalizzato molto nel fare “cultura” rispetto al grande tema della brand identity, cercando sempre di portare valore al settore e costruire una specifica nobilitazione della materia. Avendo una matrice multidisciplinare, infatti, la Brand Identity si è costituita attingendo da competenze che vanno dalla strategia aziendale – che ho definito di “business identity” – al marketing, dalla comunicazione al design. Il mio intento è stato quello di evolvere la competenza della brand-identity a vera e propria branca della consulenza d’impresa, rivolta al management direzionale e non solo ai responsabili marketing e comunicazione. Ecco perché, coerentemente, l’approccio di Univisual è sempre stato tendenzialmente “pedagogico”, rivolgendosi – per l’80% del nostro operato – a quelle aziende che devono “trasformare il loro marchio in una marca”, cioè evolvere una mentalità di business basata essenzialmente sul prodotto in una strategia capace di fare leva sul brand. Un trentennio non solo ricco di progetti importanti (come la brand identity di Salmoiraghi & Viganò o la normalizzazione del marchio Bancomat, n.d.r.), ma significativo anche perché posso rilevare l’evoluzione sullo stato dell’arte della Brand Identity in quanto disciplina autonoma, dove è migliorata sia la qualità espressa dagli addetti ai lavori, sia il percepito da parte della committenza. E mi piace pensare che sia stato raggiunto anche grazie al contributo di Univisual.

 

Molte aziende, anche italiane, comprese alcune molto note, hanno deciso di intervenire di recente proprio sulla loro identità, arrivando a trasformare il brand, più o meno in profondità, cambiando pure il logo. Un segno dei tempi?

Ai clienti ricordo spesso che siamo nell’era della percezione, in un mondo, cioè, dove la realtà è stata sostituita dall’idea che si ha delle cose e quindi anche dei prodotti o dei servizi che propongono alle persone. In questo contesto il brand non è solo un indubbio vantaggio, ma forse rappresenta l’unico differenziale per il successo. Dopo gli ultimi anni di crisi siamo in una nuova dimensione del business. È naturale, quindi, che le aziende si siano mosse con molta decisione nell’aggiornare la propria vision e di conseguenza nell’adeguare il brand ai nuovi obiettivi. Le riflessioni in merito sono iniziate da tempo, in verità, e oggi vediamo i risvolti concreti, interessando in modo esplicito la brand identity. In fondo, si tratta di evolvere per non rischiare l’estinzione, un’altra epoca è stata avviata, rendendo necessario rimodellare la propria natura e il proprio “esistere”. Tutto questo, ovviamente, ha effetti nel rapporto con i clienti, si ripercuote sul grado di interazione e di engagement, puntando sulla “sintonia”, da preservare, coltivare e gestire nel tempo. Nel business moderno questi sono atteggiamenti centrali e il brand è l’assoluto protagonista. Non può essere solo l’interfaccia di un’organizzazione e di tutto ciò che fa. Il team Univisual, tutti i giorni, lavora in questa direzione e insiste con forza su un punto: chi non evolve se stesso all’interno di un rapporto di natura simbiotica con il proprio consumatore, non potrà mai “elevare” la relazione tra il “classico venditore” e la “mera vittima commerciale”.

 

E come ci si deve affiancare alle aziende per riuscire a centrare questo obiettivo, che appare così sfidante e impegnativo?

La sfida è culturale. L’impegno principale nello spirito professionale di Univisual, che elabora strategie e creatività mirate allo sviluppo di valore, propone di individuare e attribuire un’autentica funzione operativa al brand. Rispetto a dieci anni fa, l’integrazione del brand – quale fattore critico di successo – all’interno della cultura d’impresa è fortunatamente evoluto, finendo per coinvolgere altre aree aziendali oltre a quelle classiche, del marketing e della comunicazione. Con differenti livelli di interesse, certo, ma più professionalità si intersecano nel progetto di una brand identity, più il risultato è efficace. Ciò può solo rafforzare quella che è più di una convinzione: il ruolo primario del brand, ancor di più oggi, sullo sfondo di un orizzonte spesso imprevedibile e multiforme, è quello di favorire il business e quindi sviluppare capitale d’impresa.

 

Esiste in questo quadro un elemento fondamentale da considerare?

Raggiungere questi obiettivi ritengo non sia difficile ma sicuramente complesso e dipende dalla mentalità. Va acquisita una nuova vision, dentro un nuovo “territorio”. Tra le varie trasformazioni, per esempio, è in atto nel mercato un diffuso cambio generazionale, sul fronte manageriale e dirigenziale. Rilevo, tanto per dare qualche indicazione in merito, delle competenze utili nelle nuove generazioni, necessarie e compensatorie rispetto alla precedente, la quale credo però possa ancora dare quel contributo di esperienza quando si tratta di relazioni umane, verso l’interno e l’esterno dell’organizzazione. In fondo, ciò che conta, per la costruzione o la restaurazione di una marca rimane la capacità di relazionarsi e, nonostante i media oggi siano virtuali, gli individui in cui si interfacciano sono essere umani, sempre con lo stesso bisogno di interagire di un tempo. Ed ecco perché il brand deve avere un posizionamento “differenziante”, pertinente rispetto a un modo di vedere la vita, senza equivoci di pensiero. In un mercato in continua evoluzione una strategia di marca definisce, soprattutto, la combinazione di tutte quelle modalità che dal punto di vista identificativo sorreggono e spingono un’offerta commerciale, trasformandola in qualcosa che gli stakeholder introducono nel proprio sistema personale.

 

Ma i vertici aziendali comprendono tutto questo fino in fondo? Condividono davvero la scelta di considerare il brand un fattore critico ed essenziale per “fare business”?

Ci sono ancora tante contraddizioni, alcune anacronistiche e altre decisamente miopi. Come dicevo, il discorso attuale sul brand dovrebbe coinvolgere l’area finanziaria, le risorse umane, gli ideatori della proposta commerciale, il vertice dirigenziale… non solo il marketing e la comunicazione. Impegnarsi con laico rispetto sul branding significa maneggiare strumenti che appartengono a un’area specifica, da applicare in modo sinergico a ogni ambito dell’impresa. Il lato oscuro nel comprendere davvero il brand, è rappresentato dalla sua natura irrazionale, strettamente connessa alla mente umana, cioè l’ago della bilancia di tutte le nostre decisioni. Affrontare il branding in modo scientifico significa trattare la materia integrando strategia e creatività in modo ponderato, costruendo un sistema equilibrato tra analisi della realtà e invenzione di mondi immaginifici. Al consumatore non bisogna dare ciò che vuole, ma ciò che non è in grado di immaginare. Risulta essenziale conoscere i fenomeni intrinseci che una brand identity può generare, attraverso esperienza e sistematicità adeguate, derivanti da una profonda consapevolezza che il brand è un asset tanto potente quanto delicato. La prima fase, per avviare un processo di sviluppo di una nuova brand identity, consiste in una profonda analisi endogena, fonte di informazioni primarie per razionalizzare punti di forza e di debolezza, associazioni con la quotidianità delle persone, riconoscimento da parte del consumatore… Tutti fattori base per individuare la brand-equity e definire i compiti funzionali di una marca. L’obiettivo finale? Ottenere vantaggio competitivo. È fondamentale credere nelle potenzialità del brand che, per sua natura, deve essere concepito sulla base di obiettivi predefiniti, a cui possono essere affidati un ruolo preciso e un compito funzionale. In questo particolare concetto c’è forse tutta la coscienza del brand: affinché possa essere un asset di business su cui fare leva e non una pura opzione, è fondamentale decidere – in base a determinati paradigmi – quale debba essere il suo ruolo operativo, cosa deve fare o cosa sia in grado o non sia in grado di generare, dove possa o non possa agire.

 

Ultimamente si sta assistendo a numerose fusioni aziendali: come si combina questo approccio così evoluto nel momento in cui si uniscono, per esempio, due realtà ben distinte e, magari, singolarmente molto affermate?

Effettivamente siamo in un periodo storico per l’economia italiana e internazionale, in cui assistiamo a importanti cambiamenti di mercato. Basti pensare al recente caso della gigantesca operazione che ha riunito i colossi At&t e Time Warner. Azioni comprensibili perché confermano quanto il contesto sia attualmente in forte evoluzione, tale da influenzare gli scenari finanziari e rivoluzionare le consuetudini d’acquisto. Acquisizioni, fusioni, incorporazioni, scissioni, cessioni di quote, conferimenti di rami d’azienda, quotazione borsistiche, sono solo alcune delle situazioni in cui si trovano i clienti di Univisual. Veniamo interpellati da aziende che sono in momenti di rilevante mutazione, gestendo per esempio l’integrazione di risorse e competenze. Parliamo di situazioni critiche, più o meno straordinarie ma comunque complesse, che molti gruppi, oggi, si trovano a dover affrontare. Rimanendo in tema di evoluzione, il cambiamento sta anche in questo e la tematica è una di quelle dove la marca non solo deve risolvere numerosi problemi ma, spesso, rimane l’unica leva capace di generare nuova vita da una crisi. In questi casi, tra gli aspetti più delicati dal punto di vista della brand identity, vi è la necessità di preservare il valore di ogni entità preesistente e al tempo stesso rendere credibile in mercati diversi il nuovo conglomerato in qualità di unica entità. Si passa da valori effettivi e riconosciuti a valore potenziale, spesso innovativo ma destabilizzante per l’organizzazione interna. È in gioco il senso di appartenenza acquisito negli anni, mettendo a dura prova le persone, che devono adattarsi a una nuova dimensione. Far comprendere il peso delle opportunità – a stakeholder interni (dipendenti) ed esterni (clienti) – non è mai un gioco facile: per i primi uscire dalla propria “comfort zone” può essere demoralizzante, per i secondi veder cambiati certi punti di riferimento, può addirittura essere preoccupante. Queste operazioni hanno un naturale valore strategico (vision, competizione ecc.) ed economico (liquidità, crescita ecc.) per gli shareholder, ma non sempre sono accettate dagli altri livelli, generando situazioni da gestire in cui il brand diventa ambasciatore chiarificatore e rassicurante del cambiamento. In ogni modo, è in situazioni come queste che gli asset intangibili – come il brand – ricoprono, oggi, un ruolo sia economico sia strategico. Si rivela un fattore critico in grado di agire come integratore e catalizzatore, oppure da disintegratore se non gestito correttamente. Tra le altre possibili ricadute che possono esserci durante questi cambiamenti, spesso dobbiamo risolvere i conflitti esistenti tra la quota di valore percepito e l’effettivo valore erogato, gestendo disturbi generati da “sovrapposizioni identificative” o da anomalie impreviste, quali distonie di significato o convergenze di prodotti o servizi. Quando gli interessi in gioco sono chiari, il nostro lavoro è aiutare le aziende a non disperdere valore nei momenti evolutivi e supportarle nei processi di cambiamento. L’impatto del brand sul business è discriminante in ogni caso, quindi, perché non sfruttarne le capacità?

 

Torniamo alla vostra ricorrenza: cosa ricorda con maggiore emozione di questi trent’anni che hanno visto un ruolo da protagonista da parte di Univisual in una materia tanto emozionante quanto controversa?

L’inizio  è stato davvero pioneristico e abbiamo attraversato tre decenni molto diversi tra loro, con caratteristiche epocali significative, dagli anni ’80 verso i prossimi anni ’20 di un nuovo millennio. Ciò che mi rende orgoglioso, è constatare che oggi Univisual è veramente al fianco, per non dire “dentro”, alle aziende clienti, in tutto il processo di “development” e “deployment” del brand. Nella gran parte dei casi operiamo a stretto contatto con il top-management. Il nostro compito, soprattutto oggi, è quello di aiutare le organizzazioni a definire le corrette modalità identificative con cui porsi nel proprio scenario competitivo e a far leva sul brand (sia per il sell-in sia per il sell-out) al fine di sviluppare valore per gli stakeholder. Lo raccontiamo ogni volta: dobbiamo saper creare opportunità per tutti attraverso il brand. Valore per coloro che a vario titolo e nella diversità delle funzioni e dei ruoli sono impegnati in un’azienda. Valore per il mercato. E naturalmente per i clienti. La vision di Univisual è infatti “far evolvere il brand da tool della comunicazione a vero e proprio asset della strategia di business”. Essere, quindi, rimasti coerenti con la nostra vision è, forse, quello che mi torna in mente con più frequenza e soddisfazione. Guardo con grande rispetto a tutto ciò che ha caratterizzato Univisual nel suo lungo cammino, fino a oggi. E non dimentico che siamo stati, forse, i primi ad avanzare determinate istanze nel quadro eterogeneo – e molte volte frainteso – che contraddistingue il lavoro sulla marca e sul marchio. Univisual ha senza dubbio contribuito con la sua attività a rimodulare l’approccio verso le teorie e le tecniche inerenti la brand identity. Siamo felici di aver mantenuto fede ai nostri intenti e, per questo, essere stati ripagati con tante soddisfazioni, senza piegarci alle richieste di un mercato che ha attraversato crisi e cambiamenti sociali con pochi precedenti dall’ultimo Dopoguerra. Sono fiero, in particolar modo, di tutti i professionisti di Univisual e di quei riconoscimenti che vanno oltre le performance di fatturato, come i premi e gli apprezzamenti da parte dei colleghi. Trent’anni di attività specifica rappresentano certamente un grande risultato, ma il traguardo più importante è quello che si raggiunge ogni giorno, confermare fiducia e affidabilità grazie a un rapporto consulenziale autentico con i clienti, anch’esso progressivamente evoluto. Ci sono voluti non solo coraggio e impegno nel perseguire certe idee, ma la continua ricerca di un linguaggio capace di far comprendere ai “non addetti ai lavori” il senso del brand e quindi poter condividere la stessa visione. Crediamo di aver creato un approccio che va oltre il servizio offerto, instaurando con i clienti un gratificante scambio intellettuale. Una relazione prolifica che ha arricchito non solo la mia vita professionale. Ogni progetto mi ha insegnato ad accettare la sfida più difficile: ricominciare ogni volta da un nuovo punto di vista.

 

Insomma, il brand come un paradigma filosofico e un medium di vita quotidiana…

In un senso più profondo, certamente. Se nel business moderno il brand è centrale e sempre più assoluto protagonista, lo si deve proprio perché non è soltanto un’interfaccia di un’organizzazione, ma rappresenta la personificazione di un modo di essere e di vedere il mondo, in cui gli individui si riconoscono e con cui instaurano rapporti di pura sintonia di pensiero. Il branding, lungo un articolato processo di metamorfosi e di accurata sintesi culturale, è divenuto una vera e propria disciplina, dove – per esempio – marketing e design cercano una fusione che in altri ambiti potrebbe risultare incompatibile. Nello scorrere del tempo, attraversando stadi intermedi e gradi evolutivi diversi, Univisual ha avuto la preziosa possibilità di studiare, analizzare e classificare livelli di sviluppo di tante aziende, operanti in ambito b2c e b2b. Ha avuto un prolungato arco di tempo a disposizione per farlo e il ruolo complesso del brand è stato osservato, compreso e via via perfezionato, insieme a strumenti cognitivi e tecnici. Il brand, si è detto, trasmette una percezione. E deve essere unica per il suo mercato. Proprio qui s’innesta un’altra funzione essenziale del nostro lavoro che, come primo obiettivo, vale la pena ribadirlo, ha quello di avviare un processo d’indagine che porta a identificare il brand come entità operativa nel contesto aziendale. La metodologia di Univisual è un mix virtuoso di rigorosità e maieutica – sempre finalizzato al risultato – basata su un processo di co-working e di trasferimento di knowhow al cliente. Attiviamo, infatti, sessioni di confronto strategico accanto a workshop creativi, che abbiamo chiamato brand-storming. Concludendo, l’identità del brand si rende disponibile per attribuire una personalità al prodotto indifferenziato e ogni azienda, impegnata nel panorama globale e incerto di oggi, è obbligata a integrare un nuovo anello all’interno del proprio Dna. “Evolvere o rischiare l’estinzione”, nient’altro che questo.

 

Questo articolo è rispreso da “Mediaforum”
n.8, ottobre 2016.

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