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31 Ago 2021

Nel mezzo del cammin di… Univisual: 35 anni di Brand Identity

In occasione dell’importante anniversario, il DailyMagazine intervista il fondatore di Univisual Gaetano Grizzanti – punto di riferimento del settore e precursore della cultura sulla Brand Identity in Italia – per ripercorrere un cammino professionale che proprio nel 2021 ha compiuto 35 anni.

 

Era il 1986. In quell’anno, dal Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico di Pisa, per la prima volta, l’Italia si connetteva a Internet, mentre nei cieli ricompare la mitica cometa di Halley e il disastro nucleare di Chernobyl, in Ucraina, sconvolge il mondo. In marzo nasceva Lady Gaga, oggi l’artista pop più amata del pianeta, e a luglio l’Argentina trascinata da Diego Armando Maradona, e dalla sua leggendaria “mano de Dios”, battendo la Germania vince i Campionati del Mondo di calcio in Messico.

Un anno, il 1986, che si ricorda, adesso, intriso di comunicazione, ricolmo di spot, aggredito da un marketing imperante, dove la tv era protagonista; un anno incuneato nel bel mezzo di una decade d’oro per l’industria pubblicitaria, in crescita impetuosa sotto la spinta dell’esplosione dei consumi, del diffuso edonismo, della corsa sfrenata verso il migliore tenore di vita possibile. Anni caratterizzati da una vera propria caccia alla ricchezza, dall’attrattiva degli status-symbol, dalle ostentazioni del lusso e dell’effimero, rappresentata dalla mai dimenticata “Milano da bere”. Eppure, nel 1986, nel cuore di un decennio irripetibile, nel bene e nel male, se parlare di pubblicità era normale, non lo era parlare di Brand Identity, in termini strategici aveva, infatti, ancora poco significato.

Ecco perché l’intuizione di Univisual – avviata da Gaetano Grizzanti a partire proprio 35 anni fa – ha un valore particolare, divenendo realtà con una società dedicata in modo specializzato all’identità di marca e di impresa, integrando la competenza dell’immagine coordinata con le pratiche di management per lo sviluppo di sistemi di identità attraverso un approccio da “consultancy”. Una proposta pioneristica, capace di offrire servizi ma anche formazione e management in un ambito ancora da pochi considerato essenziale in ottica di business.

 

Un anniversario importante

Quest’anno, per Univisual, ricorre, quindi, una ricorrenza significativa: 35 anni di storia, che rappresentano un patrimonio anche per la disciplina stessa. Così, alla soddisfazione di poter celebrare un grande traguardo, si aggiunge lo stimolo a ripercorrere un lungo e appassionante cammino, ripensando con orgoglio ai tanti successi raggiunti. DailyMagazine ha potuto farlo incontrando proprio il fondatore di Univisual, oggi come ieri alla guida della società, raccogliendo spunti, valutazioni e riflessioni da condensare nel racconto di una lunga avventura aziendale che non si ferma certo al ricordo, ma ripropone la costante volontà di dedicare energia e slancio per affrontare le sfide di un futuro che è già qui.

Un anniversario da approcciare con la chiarezza dell’esperienza maturata in un arco operativo che ha vissuto delle vere ere temporali, con cambiamenti continui che hanno ribaltato più volte gli scenari di mercato e il settore della comunicazione. Lo si evince fin dalle prime parole del dialogo con il Professor Grizzanti: «Credo che 35 anni di attività siano senz’altro una meta considerevole, almeno in termini personali, non un punto d’arrivo, ma certamente una tappa storica di una vita professionale e non solo. Quasi quattro decenni comprendono tante trasformazioni, da quelle sociali a quelle tecnologiche, con cambiamenti che hanno mutato esigenze, strumenti, ritmi… In quella metà degli anni ’80 non avevamo né cellulare né computer, inimmaginabile oggi, ma nonostante ciò la mission di Univisual resta immutata, sia nell’approccio – ancora contemporaneo e innovativo – sia nelle competenze, ancora necessarie per aiutare i nostri clienti a “trasformare il loro marchio in una marca”».

A Univisual, oggi, si rivolgono tutte quelle aziende – leader nel proprio comparto, principalmente internazionali di matrice italiana – che devono evolvere una mentalità di business basata essenzialmente sul prodotto/servizio verso una dimensione strategica capace di fare leva sul brand. Questo posizionamento, unico nel nostro Paese, contestualizza, così, Univisual in un panorama economico delle medio-grandi imprese che devono valorizzare gli asset intangibili e capitalizzare il proprio brand. Un’altra caratteristica di Univisual è il metodo: scientifico e pedagogico, strategia e formazione rappresentano insieme il fattore critico principale per il raggiungimento degli obiettivi.

 

Già il nome Univisual porta in sé il senso del vostro lavoro: l’ampia visuale per la ricerca dell’unicità di marca. Oggi, dopo 35 anni, è ancora così?

«Resta fondamentale l’esigenza di coinvolgere, nel processo evolutivo di un’impresa, il management direzionale, responsabile della strategia di business, e non solo le aree del marketing e della comunicazione. Questo sforzo resta intatto nel suo significato e nella sua funzione. Sin dagli esordi, Univisual ha individuato la necessità di un approccio brand-oriented anche per gli asset più tangibili di una organizzazione, come il sistema d’offerta o il piano finanziario. In tempi non sospetti proponevamo programmi che evidenziavano il rischio emergente di clonazione del prodotto e di omologazione dell’identità d’impresa nello scenario competitivo. Alla luce di questi 35 anni, guardando la storia di Univisual, sono lieto di confermare che questo approccio si è rivelato conforme ai problemi che ancora oggi affliggono le nostre aziende, sempre più player a livello internazionale».

 

Cosa è cambiato in termini operativi durante gli anni?

«Sostanzialmente, il brand è divenuto un fattore critico di sopravvivenza. Usare il brand per vendere meglio non è l’unico motivo per intervenire nei propri processi. La dimensione del prodotto o servizio, che per lungo tempo è stato considerato più importante sul fronte della gestione aziendale, è sempre più limitata. Negli anni solo chi ha compreso e accettato questi cambiamenti, ha potuto prepararsi ad affrontare crisi anche non prevedibili, come la recente pandemia da Covid19. A livello operativo, paradossalmente, ciò che è cambiato è l’approccio strategico.

L’innovazione di prodotto e la digitalizzazione, per esempio, sono naturalmente dei prerequisiti per continuare a esistere, ma la vera innovazione è insita nel brand, considerandolo non solo dal punto di vista della comunicazione. Le mutazioni intervenute, in particolare nell’ultimo decennio, hanno modificato la fisionomia dello scenario italiano e internazionale, rendendo sempre più faticosa la sopravvivenza sul mercato. Non siamo più nell’era della realtà, ma in quella della percezione: il classico approccio di vendita, orientato a fare leva sulle caratteristiche dell’offerta e sulla pubblicità, spesso non rende distintive le proprie qualità ed eccellenze».

 

Questa differenza tra marchio e marca, che lei ha per primo concettualizzato e definito, ce la può spiegare meglio?

«C’è un aspetto che si riassume nell’osservazione di un fenomeno, non solo terminologico: sul mercato circolano sempre tantissimi marchi, che però non si comportano da marca. Siamo di fronte a un tema che ancora oggi ha bisogno di essere compreso e analizzato: una marca, che è a uno stadio evolutivo più alto rispetto al marchio, ha nel proprio essere un’espressione caratteriale capace di entrare in sintonia con il proprio pubblico. Parliamo di tratti assimilabili alla personalità di un individuo, oltre alle peculiarità intrinseche e funzionali del prodotto».

 

La divulgazione culturale è un aspetto molto caro a Univisual, è corretto?

«Alla luce di questi 35 anni credo che l’attività “pedagogica” sviluppata in un periodo così prolungato (ndr: articoli, seminari, corsi di formazione e il libro “Brand Identitkit”, il best-seller che ha definito i paradigmi della disciplina) abbia contribuito ad accompagnare lo sviluppo culturale in riferimento a questi argomenti. Rispetto a un tempo, l’offerta in termini di letteratura d’impresa è parecchio aumentata e si è ormai capito che il discorso sul brand e la sua valorizzazione si lega a meccanismi tipici della cultura manageriale. Però, per le aziende e le istituzioni rimane ancora poco chiaro come codificare la propria unicità, al di là del prodotto o del servizio venduto».

 

Ma dove risiedono le maggiori difficoltà nelle aziende?

«Da una parte, nella paura di esporsi e, dall’altra, nell’accettare l’assunto che proporre un prodotto non equivale a presentare un brand. Esporsi con un “Credo” – coerentemente a quando si agisce con una strategia di business orientata al branding – significa decidere quale “modo di essere e di pensare” presidiare per sempre. È difficile, ma un processo corretto di brand-identity serve proprio a quello, e il compito di Univisual è di aiutare i propri clienti in tal senso. Faccio un esempio: Apple ha basato sul “Think different” la costruzione del dna della marca – andare contro l’establishment, l’anticonformismo, essere sempre se stessi ecc. – ma, oggi, è riconosciuto purtroppo sempre più limitatamente a uno “status” sociale… così, assimilandosi a un “normale” marchio di lusso, paradossalmente potrebbe rischiare di perdere il titolo di brand».

 

Vendere un prodotto non è come vendere un brand?

«Prima bisogna vendere un brand, considerando, però, che un brand non si vende ma si compera. È d’obbligo cominciare con una premessa per sfatare un immaginario collettivo relativo all’idea che si ha del branding: lo scopo non è manipolare la mente umana, anzi, è quello di porsi in modo genuino e trasparente, con l’obiettivo di rendere credibile e coerente un’azienda per quella che è. In 35 anni abbiamo incontrato numerose realtà che hanno “poco fumo e tanto arrosto”, ma le loro qualità reali non emergevano. Solo col “fumo” non si arriva lontano, la sostanza è necessaria, e il compito del brand è quello di evocare l’esatto valore esistente e consentire a un’organizzazione di sostenere il proprio ecosistema, dai territori che abita alle famiglie che contiene».

 

Il brand oggi ha quindi anche un ruolo sociale…

«Certo, è evidente, il brand funge da sigillo di garanzia ed emblema di integrità, costituendo il dispositivo di identificazione con cui generare legami sociali autentici e al tempo stesso evocare l’unicità dei valori che rappresenta. Il cosiddetto “prodotto di marca” oggi sarebbe anacronistico considerarlo un prodotto costoso o famoso. Oggi una “marca” qualifica ed espone l’azienda e le sue persone in un determinato habitat, con responsabilità da accettare… si parla tanto, per esempio, di sostenibilità e ambiente, di diversity e diritti, ecco, quando un’azienda decide di diventare un brand, è naturale credere in tutto questo, pena, altrimenti, la gogna sociale».

 

E dopo questi 35 anni come si sviluppa, allora, il vostro intervento per aiutare le aziende a compiere questo passaggio?

«Il protagonismo di nuovi mercati emergenti, spregiudicati e molto competitivi sul prezzo a livello globale, ha un grande impatto rispetto a un tempo nelle scelte di posizionamento delle imprese italiane, costrette a rivedere un’organizzazione votata solo all’innovazione di prodotto, comunque eccellente. Ma nonostante lo scenario di mercato sia cambiato molto, i modelli di Univisual sono stati aggiornati solo in piccolissime parti e quindi possiamo contare diverse practice ormai consolidate, trovando piena corrispondenza con l’attuale interesse di un’azienda a esprimere il proprio valore, la sua personalità e il significato più profondo della sua essenza.

Negli ultimi anni abbiamo incrementato l’attività di gestione della brand-identity, fornendo un servizio di assistenza per monitorare e garantire le performance delle nuove strategie dei nostri clienti. Ci inseriamo in diversi momenti evolutivi, in caso di fusioni o acquisizioni, di introduzione di nuove business- unit, in processi di internazionalizzazione, di calo o forte crescita del fatturato o di riorganizzazione generale, specialmente nelle situazioni di cambio generazionale».

 

In cosa consiste l’attività di management di una brand identity?

«Assistiamo le aziende a rendere tangibile la nuova strategia di identità – dal roll-out al deployment –, lavorando, in primis, all’interno dell’organizzazione con programmi di formazione e di divulgazione della nuova cultura di management, dopodiché per assicurare la corretta applicazione del brand in ogni touchpoint che interagisce con gli stakeholder esterni, dal mercato al trade, passando per la rete commerciale. Siamo in una “economia della relazione” e in tal senso il nostro supporto integra il know-how imprenditoriale affinché possa funzionare nel moderno mercato della “percezione”, in cui le classiche leve non sono più sufficienti. Le leve tradizionali rendono infatti le aziende, nel percepito dei rispettivi clienti, praticamente indifferenziate. Il valore aggiunto, un tempo rappresentato per esempio dal servizio, è oggi concentrato nel brand, peraltro unico vero asset potenzialmente immortale».

 

Come è possibile calare il brand nell’attività di vendita?

«Se un’azienda propone la propria offerta concentrando tutto il “disco di vendita” sulle performance del prodotto, sulle sue caratteristiche e sui vantaggi per il cliente, non sta utilizzando il brand come leva commerciale. Significa, per esempio, cambiare i tempi di ascolto/discorso tra venditore e prospect o evitare eccessive autocelebrazioni, ma ciò che è vitale è assimilare i concetti di base per attivare la trasformazione di un orientamento aziendale basato solo sull’offerta in una visione del business fondata su una strategia utile a creare valore intorno al brand».

Cosa è cambiato nella competenza formativa rispetto ai primi anni di Univisual?
«Il lavoro di Univisual, ieri come oggi, ha una metodologia “pedagogica” ma, rispetto

a qualche anno fa, devo dire che questo percorso appare meno gravoso.

Mi spiego meglio: all’inizio del percorso di Univisual, in alcune fasi di ogni intervento, era necessario stimolare il contesto aziendale verso una direzione per lo più sconosciuta a gran parte della dirigenza. Questo ostacolo si incontrava spesso. Oggi, invece, gli stessi manager o imprenditori, in larga misura, si rendono conto di dover realizzare qualcosa su questo terreno. Naturalmente non hanno gli strumenti cognitivi su come e cosa fare di preciso – e qui inizia il nostro ruolo –, ma sono consapevoli che questo sforzo va compiuto. Effettivamente si tratta di un grande cambiamento. La consapevolezza di dover agire sul proprio marchio, per farlo evolvere, per farlo diventare davvero una marca, oggi è aumentata notevolmente».

 

Come sono cambiati nel tempo i manager di marketing e communication all’interno delle aziende?

«Le funzioni marketing e comunicazione si trovano oggi a operare in linea molto più diretta di un tempo con la proprietà e con il top-management. Lo scoglio da superare all’interno di imprese mediograndi resta però una cultura ancora spiccatamente commerciale. In questi ambiti si fa ancora un po’ fatica a trasmettere in modo adeguato l’autentico significato del brand, in chiave strategica, con tutte le ricadute sulla proposizione dell’intera azienda verso il mercato. Il compito di Univisual qui è quello di aiutare i cmo e i cco a connettere meglio le loro attività e competenze a quelle più business-oriented».

 

E invece, per Univisual, cosa è cambiato? Come considera l’attività attuale?

«In questi 35 anni di storia, Univisual ha avuto modo di collaborare con realtà produttive importanti, sia manifatturiere sia di servizi, e devo dire che in questo lungo viaggio è stato interessante, e lo è tuttora, scoprire e avere conferma su come l’industria italiana disponga di un alto livello di eccellenza, riconosciuto in tutto il mondo. Sul fronte dei risultati ottenuti e dell’attività svolta, c’è stata una crescita lineare, a conferma del riconoscimento del ruolo che sappiamo interpretare in Italia nell’ambito della consulenza di branding e nella progettazione di sistemi d’identità».

Internet e il digitale, come hanno impattato sul vostro operato nel corso degli anni?
«Considerando che il nostro intervento è parte integrante di una strategia che deve durare nel tempo, anche in passato ogni componente veniva trattata in modo sufficientemente elastico affinché potesse essere adattata ai cambiamenti, endogeni e del mercato. Naturalmente l’avvento di Internet ha cambiato alcuni paradigmi, partendo dal fatto che prima un’azienda poteva controllare la propria comunicazione mentre oggi rimbalza tra i social network e gli smartphone.

Ancora adesso, comunque, in termini di media, è tutto ancora molto fluido, con il risultato di una costante destabilizzazione da parte delle aziende su come porsi verso l’opinione pubblica. Un vantaggio, in ogni caso, è la velocità con cui una nuova brand-identity può diffondersi: un tempo ci volevano anni per attivare una nuova identità, oggi in pochi mesi si può valutare l’impatto del cambiamento. Il fattore critico è definirne le modalità, per evitare il fenomeno che io chiamo di “brandwashing”, il rischio, cioè, di generare dubbi sull’identità e la credibilità di una marca. Insomma, il digitale sta influenzando ogni componente esperienziale – non solo del consumatore, ma anche in chiave imprenditoriale – e i nostri modelli progettuali si sono evoluti per affrontare in modo adeguato i nuovi scenari».

 

Oggi molti brand cambiano logo, come la vede?

«Bene, se il cambiamento era necessario e se l’output prodotto abbia i requisiti per raggiungere lo scopo. Una cosa che emerge, parlando di logo, è una certa omologazione visiva, i marchi cominciano ad assomigliarsi troppo. Purtroppo, seguire le tendenze è un approccio indirettamente proporzionale al branding perché l’esigenza è quella di differenziarsi dagli altri. Il logo, ovviamente, è solo il vestito, che evoca appena una parte del brand, ma se il risultato è quello di non distinguersi dalla concorrenza allora si inizia un nuovo corso con qualche handicap, per dirla con il linguaggio del golf. L’analisi delle tendenze, in questo campo, serve principalmente per sapere cosa non bisogna fare».

 

Un’ultima domanda: qual è stato il momento più significativo di questi 35 anni?

«Al di là dell’enorme sforzo profuso in questi 35 anni, è significativo che il posizionamento di Univisual sia sempre stato fedele a sé stesso, concentrato in una competenza molto verticale – specifica sul marchio e sulla marca – e ancora oggi la coerenza si conferma una chiave del consenso ottenuto».

 

Daniele Bologna
Il DAILY Magazine / Settembre 2021

 

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